Dio benedica l'America sonora

Dio benedica l'America sonora

di Paolo Ghezzi

«God bless America» era l'unico slogan che accomunava i due candidati alla Casa Bianca. D'accordo, Dio benedica l'America. Ma quale America? Già si potrebbe discutere sul fatto che una nazione, seppur grande, assurga a continente intero. Nessun candidato presidenziale brasiliano direbbe «Deus abençoe America», si limiterebbe a far benedire «o nosso Brasil».

Dio, comunque abbia votato martedì, benedica comunque l'America della buona musica. Anche limitandoci agli Stati Uniti e ai titoli «americani», ce ne hanno regalata tanta. Il ruggito di Bruce Springsteen, in «Born in the Usa». Ma ancora meglio Paul Simon, con due gioielli come «American Tune», pastorale americana sulla melodia di un corale dalla Passione secondo Matteo di Bach; e «America», dove sullo sfondo del grande Paese visto dai finestrini del Greyhound, i bus che viaggiano da costa a costa con il levriero disegnato sui fianchi, si può confessare a una compagna di viaggio: «Kathy sono perduto, sono vuoto e sto male e non so perché», tanto lei sta dormendo e per capire che l'America è una cosa e New York un'altra, basta contare le automobili alla barriera del New Jersey Turnpike. «An American in Paris» di Gershwin, naturalmente, a ricordarci che gli americani amano l'Europa, se non altro perché dall'Europa, come la famiglia russa Gershowitz poi Gershwin, a milioni sono venuti, attraverso l'oceano sono venuti.

«America» da West Side Story, dove Giulietta e Romeo diventano Maria e Tony, secondo Leonard Bernstein.E la «Breakfast in America» dei Supertramp. E i figli dei fiori del musical «Hair» che bruciano le cartoline del Vietnam e sognano un «president of the United States of Love». E l'ironia graffiante di Randy Newman in «Political Science»: ci odiano tutti, ci odiano comunque; «l'Europa è troppo vecchia, l'Africa è troppo calda, il Canada è troppo freddo, l'America latina ci ha rubato il nome»; allora sganciamo quella grossa e radiamoli al suolo, trasformando il mondo in un'immensa città americana.

E poi gli «americani» di casa nostra: la Nannini che grida l'America, il Guccini che la trasfigura (A come adolescenza, A come anarchia, A come America) «tra la Via Emilia e il West» e poi intona l'epopea di Amerigo («L'America era allora, per me i G.I. di Roosevelt, la quinta armata, l'America era Atlantide, l'America era il cuore, era il destino, l'America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata, l'America era il mondo sognante e misterioso di Paperino»).
E il De Gregori che scopre la differenza tra bufalo e locomotiva e comunque, «tra la vita e la morte», avrebbe scelto l'America.

Ma la canzone più americana di tutte resta quell'infinita ballata di 8 minuti e mezzo (interminabile per i canoni pop, abituati ai 3 minuti tutto compreso) in cui Don McLean dice goodbye alla sua «American Pie» (la torta di mele americana - quella bassa, alla Nonna Papera - ma anche la miss americana, la reginetta dei balli scolastici) di Don McLean, che vendette 3 milioni di dischi nel 1972 (presidente era Richard Nixon): ritratto di una generazione pre-sessantottina tra Chevrolet, ragazze e whisky con un incongruo epilogo para-mistico. Questo: «le tre persone che ammiravo di più, il padre il figlio e lo spirito santo, hanno preso l'ultimo treno per la costa, il giorno che la musica è morta». Era il 3 febbraio 1959 e in un incidente aereo nello Iowa restarono uccisi Buddy Holly, Ritchie Valens e Big Bopper Richardson, una trinità del rock'n'roll che stava scuotendo e rollando l'America.

E non c'è posto come gli Usa che sappia creare miti e riti globali, dai santi come dai malfattori, dai miliardari come dagli hobo vagabondi, dai pistoleri come dagli sceriffi, dalle torte di mele come dall'acido lisergico. I miti li crea, li filma, li canta, li esporta. Spedendoli direttamente «somewhere over the rainbow», da qualche parte sopra l'arcobaleno. Democratici e repubblicani e non allineati, tutti i colori dell'America oltre le nuvole. Bussando, come canta il Nobel Dylan, alle porte del cielo. Bussando a ritmo di blues, di jazz, di rock, di soul: tutta roba buona, roba americana.

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