Il No deve dire chi governa dopo
Il No deve dire chi governa dopo
D opo mesi di infinita campagna elettorale, il 4 dicembre finalmente si avvicina e si andrà alla urne per il referendum costituzionale. Anche se il tema è importante visto che riguarda la semplificazione della politica e il funzionamento del parlamento per rendere le decisioni più rapide, la gente è stufa, sfiancata da attacchi, ricorsi, controricorsi, falsificazioni da ambo le parti dei contenuti della riforma, e soprattutto nauseata dall'uso strumentale del referendum per far cadere il governo Renzi, o garantirne la continuità fino alla fine della legislatura nel 2018.
Al di là dei contenuti della riforma, infatti, il referendum è diventato uno strumento per un fronte politico eterogeneo e con nulla in comune al suo interno per cercare di abbattere Renzi, e trarre qualche vantaggio dalla crisi di governo e dall'impasse politica che ne deriverebbe. Se vince il No, Renzi dovrà immediatamente dimettersi rassegnando le sue dimissioni nelle mani del presidente Mattarella, e si aprirà la crisi di governo. Questo perché il completamento delle riforme, in primo luogo l'eliminazione del bicameralismo paritario e la riduzione dei parlamentari, costituisce punto centrale del programma per cui è nato il governo Renzi e per cui è stato votato in parlamento. Se viene meno ciò, le dimissioni politiche sono obbligate.
Ora, lo stesso Matteo Renzi - sbagliando - aveva fatto leva all'inizio proprio su questo punto: se vince il Sì, il governo va avanti, continua il programma di riforme nel Paese e prosegue la battaglia dell'esecutivo in Europa contro l'austerità e per la crescita, oltre che per una soluzione europea sul fronte migranti. Su tale versante è chiaro cosa succederà dopo il 4 dicembre se vince il Sì. Non è chiaro, invece, se vince il No. Fino adesso, infatti, i fautori del No non hanno mai detto quale sarà il governo alternativo a Renzi, se questi cade, da chi sarà composto, chi rifarà la legge elettorale e con quali caratteristiche, e se sarà un governo di scopo, di legislatura, natalizio, o cos'altro.
Per chi volesse votare No, diventa a questo punto fondamentale sapere prima del voto cosa accadrà dopo, e quali conseguenze determinerà il suo voto sull'assetto dell'Italia (e forse anche dell'Europa, viste le posizioni opposte e contrastanti che i fautori del No hanno sull'euro e sull'Europa). Se infatti vince il No, oltre alle dimissioni di Renzi e all'apertura della crisi di governo, occorrerà formare obbligatoriamente un nuovo governo. Non è possibile, infatti, andare ad elezioni anticipate perché, rimanendo due camere uguali elette con sistemi elettorali diversi e opposti nel loro funzionamento, determinerebbero un parlamento ingovernabile, e una crisi di governo infinita con un probabile ulteriore scioglimento delle camere, fino all'approdo a qualche soluzione alla «spagnola», come si è visto a Madrid per scongiurare il terzo scioglimento del parlamento in un anno.
Se vince il No, alla Camera vigerà il sistema elettorale Italicum con il ballottaggio e il premio di maggioranza; al Senato invece il proporzionale puro, che è l'opposto. Il governo, però, per esistere dovrà avere il voto di fiducia di entrambe le camere, che risulterà a quel punto impossibile. Occorrerà per forza dar vita a un «governo di scopo» che elabori una nuova legge elettorale. Silvio Berlusconi si è già candidato a farvi parte. È stato il più sincero della compagnia: ha detto che lui vota No, per disarcionare Renzi, e così il giorno dopo fare il governo con il Pd.
In sostanza, Berlusconi ha esplicitato che servono i voti dei grillini e della sinistra estrema per abbattere l'odiato Renzi, ma solo in maniera strumentale per poi andarci al governo insieme. O per lo meno con il Pd, che nel frattempo sarà tornato in mano ai Bersani e ai D'Alema. Il Movimento 5Stelle ha detto e ripetuto che non farà mai nessun governo con nessuno, vuole andare a elezioni anticipate e vincere. Ma con due sistemi elettorali opposti non potrà mai vincere. Potrà forse vincere alla Camera con l'Italicum (e difatti i grillini a parole dicono di voler abolire l'Italicum, ma in realtà è il sistema elettorale che a loro piace di più, e li potrebbe far vincere), però al Senato dovrà costituire una coalizione con il Pd, o con la Lega e Forza Italia. Cosa che non avverrà mai, come i 5Stelle hanno dimostrato (e dichiarato) in questi anni, anche nel caso delle unioni civili (la legge è passata solo grazie a Renzi e a Verdini, non a Grillo). Quindi, se vince il No, si avrà per forza un governo Pd-Berlusconi, per fare una legge elettorale, altrimenti non si potrà andare alle urne.
Nel frattempo si dovrà capire quale sarà il peso in Europa di un governo instabile e precario come questo, come reagirà lo spread, quale programma di governo si riuscirà a trovare fra Berlusconi e Bersani-D'Alema, dato che contemporaneamente l'Italia andrà governata, probabilmente con le piazze incendiate dalla protesta grillina visto che l'effetto politico del No sarà il ritorno al governo di Silvio Berlusconi. Se c'è al contrario una possibilità (cosa che finora non è apparsa) che dalla fine dell'esecutivo Renzi nasca una nuova formula di governo, i sostenitori del No devono dirlo adesso, prima del referendum. È un passaggio di necessaria chiarezza, dato che su tale punto a tutt'oggi si è registrato soltanto un assordante silenzio.
Rendere consapevoli gli elettori del destino del loro voto è elemento basilare di democrazia, altrimenti si parla di difesa della democrazia soltanto in maniera strumentale. La domanda sul dopo è legittima perché, non solo lo schieramento dei contrari alla riforma non ha nulla che li lega al suo interno ed è privo di una piattaforma politica comune, ma anche fra le famiglie politiche schierate per il No, le divisioni sul dopo sono abissali.
La Lega Nord di Salvini, per esempio, ha dichiarato che non saranno mai favorevoli ad alcun governo di scopo con il Pd, come invece vuole Berlusconi. La minoranza del Pd vuole che il partito democratico resti al governo, ma cacciando Renzi. Il Pd - è assai probabile - imploderà in mille pezzi, e la vittoria del No segnerà la fine del Partito democratico, come peraltro alcuni all'interno dello stesso partito auspicano, per ritornare all'unità delle sinistre.
Voler cacciare via Matteo Renzi attraverso il voto del referendum è legittimo e fa parte della lotta politica.
Se questo avviene, però, senza dire con chiarezza agli elettori cosa succederà dopo, chi formerà il governo e con quale programma politico, votare No diventa un'avventura al buio. È diritto di chi vuole votare No, saperlo prima del 4 dicembre.
p.giovanetti@ladige.it
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