Il senno smarrito governa la terra

Il senno smarrito governa la terra

di Paolo Ghezzi

«La vita è una favola narrata da un idiota, piena di rumore e furia, che non significa nulla».
È del tutto evidente, e ben prima di Shakespeare (e di Ariosto, e di Astolfo e del senno sulla luna), diciamo da un paio di migliaio di anni almeno, che è la follia e non la ragione, a guidare il mondo.

E non parliamo della follia psichiatrica, ché le cose più folli le fanno i cosiddetti normali; né della sana follia elogiata da uno degli uomini meno folli e più intelligenti della storia, Erasmo da Rotterdam («Moriae Encomium», dedicata con sottile gioco di parole al suo amico, anch'egli visionario ma tutt'altro che folle, Thomas More).
No, parliamo proprio della follia come stupidità o insipienza, il contrario della sapienza che è celebrata come forza tranquilla che guida il mondo, in un intero libro della Bibbia.
Niente di nuovo ma nei paraggi del Natale Duemilasedici l'insipienza umana ha dato mirabili prove di sé.

Che follia della democrazia il meccanismo elettorale che alla presidenza di una superpotenza manda il candidato meno votato dal popolo (e pure il più imprevedibile e azzardato).
Che follia spaccare in due un Paese litigioso e democratico chiamandolo a votare, odiandosi a vicenda e parlando di tutt'altro, sull'abolizione di una Camera dell'odiata ma irrinunciabile casta. Che follia voler conquistare una città radendola al suolo con i suoi abitanti; che follia lanciare un tir contro un mercatino di Natale; che follia blindare i mercatini di tutta Italia depistando gli innocenti autobus urbani, come se i terroristi ripetessero gli stessi gesti e non fossero dotati di una malvagia inventiva, per definizione imprevedibile; che follia politica trasformare in eroi gli agenti che fanno il loro mestiere quando si imbattono in un ricercato in fuga; che follia, dire alla gente «abbiamo dimostrato che la sicurezza funziona» perché hai tolto di mezzo solo uno dei migliaia di terroristi aspiranti alla gloria; che follia, festeggiare l'antica arte dell'eliminazione del cattivo con i selfie e le dita a V; che follia, tutelare i privilegi dei garantiti e poi lamentare la fuga dei giovani senza garanzie; che follia da Paese mammista, trasformare la generazione Erasmus in una schiera di eroi e martiri lontani dal desco familiare; che follia, perdere i più intelligenti e brillanti perché non si investe a sufficienza in ricerca; che follia, lasciare le banche alla deriva delle gestioni allegrissime per poi salvarle con il pubblico denaro quando l'euforia si è dissolta; che follia, usare il nome di Dio per uccidere i figli di Dio; che follia, perpetuare la miseria e la guerra e poi non sapere come arginare l'esodo epocale dalla miseria e della guerra; che follia, soprattutto, pensare che dal mondo si possa sradicare la follia.

Resta, a nostra consolazione, sul finire del Sedici (un altro anno folle, come il Quindici, il Quattordici, il Tredici e tutti gli altri che l'hanno preceduto) la confortante consapevolezza che le persone intelligenti hanno, già da tempo, capito tutto: «Due cose sono infinite: l'universo e l'umana stupidità. Ma sull'universo non sono sicuro» (Albert Einstein, che ha scoperto la relatività ma faceva anche le boccacce).

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