Ombre radio: il mondo è una voce

Ombre radio: il mondo è una voce

di Paolo Ghezzi

Nel periodo dell’anno in cui la televisione dà il peggio di sé, tra riepiloghi lacrimosi, eventi buonisti, frati cantanti e rockstar in versione presepe, stucchevoli cinepanettoni e zuccherose pellicole «per famiglie», trionfi dell’ovvietà, sorella radio (e in particolare quel monumento nazionale vivente che è Radio3 Rai), ci soccorre come solo lei sa fare: offrendoci voci che raccontano il mondo.

E quando la voce è sapiente e arrochita e pastosa come quella del cantastorie di origine irpina Vinicio Capossela, è davvero un’epifania, una rivelazione radiofonica. Già il titolo, «Ombre radio», dice tutto: attraverso le onde arrivano le ombre. Arriva il Sud, con le sue leggende, le sue superstizioni, quel misto agrodolce di cielo e terra, misteri e riti. Arriva Madreterra, con le sue viscere che parlano. Arrivano le canzoni della «cupa», il periodo «intercalare» dell’anno dove le ombre ancora predominano eppure si apre una lama di nuova luce, presagio di primavera dopo il solstizio dell’inverno.

Capossela invoca evoca e provoca: in dieci puntate di un quarto d’ora (riascoltabili in podcast, assaggiatene almeno una) ci proietta in un itinerario che è folklorico, musicale, antropologico, teologico, alla riscoperta stupefatta di radici che abbiamo dentro senza saperlo, di mondi altri dentro la testa e la memoria.

Come in un manuale etnografico che si gusta senza alcuna fatica, le ombre radio ci guidano a incontri inconsueti. Per esempio con san Michele  l’arcangelo senza corpo e senza reliquie. L’angelo è la parte comprensibile di Dio, che rende la sua luce sostenibile allo sguardo umano, che altrimenti ne sarebbe accecato. Gli umili - angeli caduti, demoni, creature zoppe - venerano gli angeli perché colmano la distanza tra la terra e la divinità.

Le ombre, poi, sono le anime dei morti che girano tra noi... Questuanti pitocchi diseredati vagabondi e «vagamondi», schiuma dell’umanità. Tanti sono i santi e i rimedi miracolosi quante sono le malattie. Così per il fuoco di Sant’Antonio o male della lupa, servono capponi miracolosi, tra santi generosi e diavoli minacciosi.

Si scoprono anche parole stravaganti e favolose, come gli «affarfanti», furfanti che si scorticano la pelle e inventano miracoli, imbroglioni tra sacro e profano, come i falsi eremiti, i simulanti sordi e muti.

Capossela evoca il meraviglioso Caravaggio di Napoli sulle opere di misericordia, con quegli angeli così carnali, che si precipitano sulle sofferenze degli umani: angeli e arcangeli «devono sporcarsi con la vita, caderci in mezzo, se ne vogliono prendere parte».

È incredibile come una voce d’artista sappia farci «vedere» alla radio le cose che racconta: quelle che ci sono e quelle che immaginiamo. Troppe parole scritte e troppe immagini ci hanno fatto dimenticare che - da Omero e anche prima di Omero - siamo figli del racconto orale, prigionieri delle voci, liberati dalle voci.

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