Chi mette la maschera non solo a Carnevale
Chi mette la mascheranon solo a Carnevale
E domani addio al Carnevale. Addio anche alla possibilità di fare pazzie, se è vero quello che dicevano i latini: semel in anno licet insanire. Che vuole dire, appunto, dar di matto, non già rinsavire, perché sarebbe necessario un tempo molto più lungo. Intanto arriva martedì grasso con i suoi coriandoli e i grostoli e le maschere.
E anche lo smacafam. Tutto uguale come una volta, solo alcune maschere sono un tantino cambiate. Non si dice di quelli che si mettevano la maglia alla rovescia o infilavano le mutande sopra i calzoni e giù a ridere, ma dei classici Zorro e fatine con la bacchetta magica e Arlecchini e cow boy.
Oggi che siamo più sofisticati andiamo al sodo e sbeffeggiamo l’attualità. Così per le strade è possibile imbattersi in qualcuno con addosso una parrucca dal ciuffo arancio e gli occhi persi nel vuoto che brandisce un missile declamando «io non sbaglio mai».
Guarda come assomiglia al nuovo presidente americano. E poi ne passa un altro travestito da caporale, non quello dell’esercito ma quello che trasporta sui campi i lavoratori (e con più frequenza le lavoratrici) prelevandoli alle tre di notte da casa e scaricandoli alle cinque e mezza tra le piante dei pomodori o i vigneti a lavorare dodici ore per una paga giornaliera di 27 euro.
Qualcuno muore di fatica come Paola Clemente, 49 anni, ma quella non si può vedere tra le maschere appunto perché è morta. Si può invece notare qualche big della Tv di Stato vestito da straccione per protestare contro i tagli agli stipendi, dopo che il Consiglio d’amministrazione dell’azienda ha deliberato di mettere un tetto di 240 mila euro lordi all’anno a certi compensi da favola finora percepiti.
Manca tra i personaggi carnascialeschi la maschera dei mafiosi. Troppo inflazionata, non fa più ridere. Si affaccia invece quella di un giovane qualunque, vestito in modo qualunque, nel senso che può sembrare semplicemente un giovane normale, non fosse che lui dice di essere un disoccupato e che questo si dovrebbe intuire dall’espressione triste o arrabbiata, secondo i casi.
Che folla per le strade. Inflazionati i politici inadeguati, forse perché sanno offrire molti spunti per farsi due risate, mentre nessuno ha il coraggio di indossare i panni dell’emigrato che arriva sui barconi, visto che il Carnevale non è tempo per piangere. Qualcuno, per distinguersi dalla massa, gira con uno sputo dipinto sulla faccia, una maschera simbolica di denuncia contro quei cittadini che pretendono di viaggiare gratis sui mezzi pubblici come fosse un diritto.
Purtroppo il Carnevale è agli sgoccioli e si dovrà aspettare un anno per rituffarsi in questo gran mare d’allegria. Nel frattempo, tornati alla normalità, cosparso il capo di cenere, ci aspettano quaranta giorni di Quaresima, che dovrebbe essere un periodo di sacrificio per espiare le colpe.
Le maschere però non hanno colpe, quelle fanno soltanto il verso alla realtà. Ma non è che nella realtà le maschere si indossano ogni giorno, tutto l’anno? Il dubbio, o addirittura la certezza, era venuto a Luigi Pirandello.
Fino a questa sera la Compagnia di Lavia porta al teatro Sociale «L’uomo dal fiore in bocca» e molte altre volte le opere dell’autore sono state offerte sul palcoscenico trentino. «Uno nessuno centomila», ad esempio, sarebbe proprio adatta al caso, col suo protagonista preso da una crisi d’identità che vuole scoprire chi è veramente sotto quella maschera che ogni giorno, da sempre, offre alle persone che gli stanno intorno.
A quel punto le persone lo prendono per pazzo. E il rischio è proprio questo, che a forza di vivere in maschera nessuno riesca a vedere quello che uno è veramente. O, peggio ancora, che lui stesso si convinca di essere quello che la sua maschera rappresenta.
Ma domani, è certo, tra la folla ci sarà ancora qualche bambino con le guance dipinte di rosso e un vestito strambo cucito dalla nonna per l’occasione. E un altro e un altro ancora. Genuini, contenti, semplicemente bambini. Si chiamano speranza e non semel in anno.
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