Benedetta sia la lunghezza
Benedetta sia la lunghezza
Magari l'hanno fatto con le migliori intenzioni, per non affaticare i fedeli, in prevalenza anziani, o per non allungare troppo la messa (che peraltro dura appena un terzo della liturgia ortodossa).
Ma i parroci che domenica scorsa, solennità delle palme insanguinate dai cristiani in Egitto, hanno scelto per il «Passio» - autorizzati beninteso dai liturgisti della romana Chiesa - la forma breve, anziché quella lunga, hanno amputato quel capolavoro letterario che è la Passione di Gesù Cristo secondo Matteo.
Cioè il racconto, con un crescendo di pathos che ogni volta tocca il cuore - anche se l'hai sentito cento volte - di come l'ingresso trionfale a Gerusalemme di Gesù, figlio di Davide e dunque destinato a regnare sui Giudei, si trasformò in un drammatico caso giudiziario e in una crudele esecuzione capitale: anche senza credere che il rabbi sceso dal profondo nord della Galilea fosse figlio di Dio, è la cronaca di un delitto politico e di un'ingiustizia atroce, compiuta per eliminare un pericoloso profeta e il suo messaggio sovversivo per l'ordine costituito.
La cronaca occupa un capitolo e mezzo di Matteo: Mt 26,14-27,66. Nella forma breve, si legge un pezzo del solo 27: 11-54. Si sono persi, nello sciagurato accorciamento, 85 versetti su 129 totali: due terzi. Conteggiando le parole, ne sono rimaste 816 su 2.586, vale a dire 1.770 parole bruciate. Se contiamo i caratteri, spazi inclusi, la brevità ne ha vaporizzati 10.023, salvandone 4.619 su 14.642. Una mattanza letteraria.
Così, gli ascoltatori «in breve» si sono persi: i trenta denari, la protesta di innocenza del povero Giuda, l'ultima cena, la promessa di fedeltà del povero Pietro, i discepoli che si addormentano nel giardino degli ulivi (una delle pagine più belle e drammatiche di tutto il vangelo), l'arresto di Gesù, il taglio dell'orecchio al servo del sommo sacerdote, l'interrogatorio da parte del sadico Caifa, il rinnegamento del povero Pietro, l'autoimpiccagione di Giuda, i dubbi del governatore Pilato... e, dopo la crocifissione e la morte del messia (sopravvissuti alla strage di versetti) spariscono anche la pietà del ricco Giuseppe di Arimatea che seppellisce il corpo di Gesù e il dolore meraviglioso delle tre Marie, che lo amavano. Ecco, per la insensata esigenza di abbreviare ci perdiamo un mare di bellezza. Per un quarto d'ora in più da dedicare alla preparazione del pranzo o allo shopping o a caricare il selfie del cagnolino, ci perdiamo un racconto pieno di colori e luci e buio e passioni e palpiti che sa fermare il tempo. E se la Chiesa, che da duemila anni custodisce queste parole, le taglia con l'accetta per non affaticare i fedeli, siamo messi proprio male.
Come se, delle 1.890 pagine dell'edizione Grandi Oscar Mondadori di Guerra e pace, ne fossero state espunte 1.260: l'inseguimento del lupo da parte di Nikolaj, il tentativo di suicidio di Natascia, la cometa del 1812, l'udienza da Napoleone nel palazzo di Vil'no, i calcoli apocalittici di Pierre, il bombardamenti di Smolensk, il principe Andréj alla vigilia della battaglia di Borodinò e via amputando: in fondo basta dire come va a finire, no? Ebbene, Pierre torna a Mosca da Natascia che lo ama «terribilmente». Titoli di coda. Avete ascoltato un po' di Guerra e pace. Se volete, c'è il film in streaming, che vi fa risparmiare ancora più tempo. Amore e morte ai tempi di Napoleone, in Russia. Succedono un sacco di cose ma Tolstoj divaga troppo e vi abbiamo preparato un comodo, pratico riassunto. Un capolavoro compact.
Ma se Anna Karenina è di 888 pagine e non di 333, un motivo ci sarà. È vero che Dickens pubblicava a puntate e ci guadagnava a tirare per il lungo, ma ve lo immaginate un David Copperfield liofilizzato, senza Uriah Heep e mister Micawber?
Se non avesse già altri pensieri verrebbe da mandarglielo a dire, a papa Francesco: santità, abolisca la forma breve, le parole sono importanti (lo dice anche Nanni Moretti). Ci lasci navigare nelle acque limacciose e tragiche e meravigliose del lungo fiume della passione.