Guarire dall'egoismo fa bene a tutti
Guarire dall'egoismo fa bene a tutti
Vi sono tre cose che possono rivoluzionare il mondo d’oggi: la forza profetica delle alleanze per il bene comune, contro ogni decreto di dissidio, la fedeltà al proprio impegno contro la colonizzazione dell’indifferenza e il coraggio di sperare contro ogni insidia di smarrimento e di sfiducia.
Assistendo indirettamente alla visita del Papa, avvenuta l’altroieri nella terra di Puglia, per il venticinquesimo anniversario della morte del vescovo Tonino Bello, ho notato una reale compenetrazione tra passato e presente, tra la figura di questo Papa e don Tonino, che ho potuto conoscere anche io personalmente e godere della sua semplicità così disarmante e contagiosa, quando fui ospite nel suo episcopio.
La riflessione del Papa ha colto nel segno ricordando il grande e inimitabile esempio di don Tonino Bello: «Capire i poveri era per lui vera ricchezza. Aveva ragione, perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa. Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda. (...)
Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro, problema oggi ancora tanto attuale. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità. Non stava con le mani in mano: agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia. Infatti, se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra.
La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione».
Quest’ultima espressione mi ha fatto ricordare una simpatica storiella, molto gradita al cardinal Luciani, quel papa santo che sapeva raccontare con arguzia storie antiche e parabole perenni, per educare e far crescere la speranza nel cuore nostro. Ebbene, un giorno raccontò questa bella parabola, capace di esprimere la realtà attuale e le sue urgenze.
In un villaggio, una donna ebbe la sorpresa di incontrare sulla soglia di casa uno straniero, piuttosto ben vestito, distinto che le chiese subito qualcosa da mangiare. «Mi dispiace - però ella gli rispose - al momento non ho in casa niente». «Non si preoccupi - replicò lo sconosciuto, amabilmente - ho nella bisaccia un sasso per la minestra. Se mi darete il permesso di metterlo in una pentola di acqua bollente, preparerò la zuppa più deliziosa del mondo. Mi occorre, però, una pentola molto grande. Me la procuri, cara signore, per favore».
La donna era incuriosita. Mise la pentola sul fuoco e andò a confidare il segreto del sasso per minestra ad una vicina di casa. Quando l’acqua cominciò a bollire, c’erano tutti i vicini, accorsi a vedere lo straniero ed il suo sasso. Egli depose il sasso nell’acqua, poi ne assaggiò un cucchiaino ed esclamò con aria beata: «Ah, che delizia! Mancano solo delle patate».
«Io ho delle patate in cucina», esclamò una donna. Pochi minuti dopo era di ritorno con una grande quantità di patate, già ben tagliate a fette, che furono gettate nel pentolone. Allora lo straniero assaggiò di nuovo il brodo. «Eccellente», gridò. Poi però aggiunse, con aria malinconica: «Solo se avessimo un po’ di carne, diventerebbe uno squisito stufato».
Un’altra massaia corse a casa per andare a prendere della carne, che l’uomo accettò con garbo e gettò poi subito nella pentola.
Al nuovo assaggio, egli alzò gli occhi al cielo e disse: «Ah! Manca solo un po’ di verdura e poi sarebbe perfetto. Veramente perfetto!».
Una delle vicine corse a casa e tornò con un cesto pieno di carote e cipolle. Dopo aver messo anche queste nella zuppa, lo straniero assaggiò il miscuglio e dichiarò in tono imperioso: «Sale e salsa!». «Eccoli», disse la padrona di casa. Poi un altro ordine: «Scodelle, sì scodelle per tutti!». Era giunto il momento per festeggiare e gustare tutti insieme.
La gente corse a casa a prendere le proprie scodelle. Qualcuno portò anche pane e frutta. Poi si sedettero tutti a tavola, mentre lo straniero distribuiva grosse porzioni della sua incredibile zuppa. Tutti trovarono una strana felicità. Ridevano, chiacchieravano e gustavano il loro primo vero pasto in comune.
In mezzo all’allegria generale, lo straniero scivolò fuori, silenziosamente, lasciando il sasso miracoloso, affinché potessero usarlo tutte le volte che lo volevano, per preparare la minestra più buona del mondo.
Fuor di metafora, la parabola ben esprime il cuore nostro, e insegna ad essere come quel pellegrino, fiducioso ed ottimista, che sa porgere per il bene di tutti, un «sasso, un semplice ma necessario segno di nuovo inizio, che io, nella giornata di oggi, auguro come pastore alla mia terra, il Molise, immersa nelle elezioni, nella scelta del nuovo governo regionale. Nel sasso c’è un’opportunità di incontro.
Un’occasione di grazia, attorno alla quale le nostre genti sapranno poi costruire un futuro. Il loro futuro comune. Con le risorse di ogni borgo, la minestra riuscirà di certo saporitissima e deliziosa. Perché tutti vi avranno portato il loro fattivo contributo. Guarire dall’egoismo è in fondo quello che ci permette di servire i fratelli senza titoli, oltre le convenzioni di un potere cinico e isolato, ma con ai fianchi il «grembiule» indossato dal Cristo, che tanto conquistò il cuore di don Tonino assieme al nostro.