Torneranno i prati, maestro Ermanno
Un cercatore. Di oro umano. Ermanno Olmi è stato un grande autore di cinema, un narratore profondo ed essenziale, che non ha mai condiviso gli snobismi e i tic dei registi «di tendenza», di quelli acclamati dalle folle e dai critici nei festival. Forse perché quel bergamasco classe 1931 è sempre stato un esploratore fuori tempo, fuori moda, fuori tendenza.
Cercava il «quid» di umano che rende importante ogni storia, anche quella piccola e apparentemente insignificante di un apprendista cameriere, come nel «Lunga vita alla signora!» girato a Castel Ivano, in Trentino.
Parlasse di contadini o di soldati, di profughi o di cardinali (come nell'ultimo documentario dedicato a Carlo Maria Martini), Olmi conservava uno sguardo capace di stupore per le cose autentiche, e di ammirazione per l'umanità semplice che accomuna le donne e gli uomini veri di ogni tempo, che siano protagonisti della storia o modeste comparse: volti che passano, ci guardano dallo schermo e poi escono dalle nostre vite. Restando forse solo in qualche vago ricordo. E nel tessuto dei sogni.
Se l'«Albero degli zoccoli», Palma d'oro a Cannes quarant'anni fa, è il suo capolavoro-manifesto, l'epopea umile di un popolo e di una terra, un tocco davvero speciale Olmi l'ha avuto in "Cammina cammina" (un fiasco al botteghino, ovviamente), quando si è immaginato i re magi e la loro strada verso quel neonato di Betlemme, guidati da una stella con la coda: tre venuti da lontano, dall'oriente di altri cieli e di altre stelle e di altre lingue, simbolo di tutti coloro che sono in viaggio verso qualcosa di prezioso, spinti da una sete o da un desiderio sempre vivi. Di tutti quelli che non si fermano, non si accontentano della loro casa, delle loro certezze, che non si sentono mai arrivati e vanno sempre verso un nuovo caravanserraglio.
Uno dei suoi ultimi film, «Torneranno i prati», è un bel titolo carico di futuro uscito nel centenario della grande guerra (atroce guerra, maledetta guerra) del passato. Quei soldati in trincea, quando fuori cade la neve, odiano il loro «mestiere delle armi» (altro grande titolo di Olmi) e sognano soltanto una vita fuori dal buio, fuori dalla paura, fuori dal sangue e dal fango, fuori dall'incubo, fuori dagli ordini dei generali che la trincea non la sanno.
«Torneranno i prati» (e Olmi pensava di certo ai suoi prati di Asiago, la piccola patria di montagna che si era scelto) è la loro unica speranza. Che la saggezza della terra abbia il sopravvento sulla follia degli uomini in divisa che si sparano senza odiarsi. Ma continuano a spararsi. Sì, dovranno tornare i prati. Dopo che se ne sarà andata la neve. Dopo che se ne sarà andata la guerra. Torneranno i prati. Dovranno tornare, i prati, maestro Ermanno.