Basta propaganda contro i migranti
Basta propaganda contro i migranti
A ffacciandoci sul presente, dovremmo porci una domanda: perché «Davide e Golia» continuano a lottare? Perché non regge un armistizio definitivo tra i grandi e i piccoli, tra i potenti e i deboli del mondo? Non sarebbe più logico, nell'epoca dell'opulenza, adorare la pace al posto della guerra, dando da mangiare a chi non ha pane? Non avremmo tutti da guadagnare, ponendo soluzioni invece che resistenze? Possibile che l'uomo non è capace di raggiungere tutto questo e di porre fine al suo esodo?
Sono domande che si affacciano al mio cuore, mentre ascolto le dinamiche del G7 in Canada. E noto che proprio cinquant'anni fa nasceva in America Latina la cosiddetta Teologia della Liberazione, una corrente di pensiero che percepiva l'urgenza di riportare la coscienza del popolo latinoamericano al fondamento del Regno di Giustizia annunciato nel Vangelo e di lottare per una liberazione economica, politica sociale e ideologica e per un solido superamento dell'ingiustizia sociale.
Sulla scia dell'esempio del vescovo brasiliano Helder Camara (che già nel concilio aveva provocato la Chiesa sul tema della povertà nel famoso Documento delle catacombe nell'ottobre del 1965), c'è sempre stato il teologo peruviano Gustavo Gutiérrez che ha appena compiuto novant'anni e al quale Papa Francesco ha rivolto un augurio del tutto speciale. Il suo sforzo è sempre stato quello di contrapporre alla logica cieca del profitto capitalistico il criterio solidale e redentivo di questa «teologia del popolo», dove in particolare i poveri sono il cuore dell'attenzione pastorale della Chiesa. Sono tutti richiami che, oggi più di ieri, risaltano il concetto di liberazione intesa come promozione umana e difesa a fianco degli innocenti vittime di vari regimi e forte sollecitudine ad assecondare il piano di Dio in mezzo agli uomini, spezzando le catene dell'oppressione del povero e portarlo alla terra promessa. C'è davvero tanto ancora da scoprire e attuare di questa missione che conquistò il cuore di colui che è diventato, accanto alla figura di Paolo Vi, l'esempio centrale del Sinodo Giovani, l'arcivescovo Oscar Romero, ucciso nel marzo 1980 da un sicario dell'oligarchia al potere, mentre celebrava l'Eucarestia a San Salvador. Bello ricordare che il motto che lo portò al martirio era: «Gloria Dei vivens pauper», che significa appunto che la gloria di Dio è il riscatto del povero, la sua liberazione dalla condizione di miseria e di dolore. Romero è testimone di quella Chiesa non scende a compromesso col nemico di Dio e dei poveri.
Ora, guardando anche al nuovo scenario politico, in particolare a chi gonfia il petto con giudizi azzardati, non tenendo conto della persecuzione sofferta dai tanti immigrati che sono sbarcati e purtroppo ancora sbarcano sulle nostre rive, sento ancora più vivo questo grido di Romero, anche per noi che ci professiamo credenti: «C'è un criterio per sapere se Dio sta vicino o lontano da noi: chiunque si preoccupi dell'affamato, del nudo, dello scomparso, del torturato, del prigioniero, di tutta questa carne che soffre, ha vicino Dio. «Griderai al Signore e ti ascolterà». La religione consiste in questa garanzia di avere Dio vicino, perché faccio del bene ai miei fratelli. La garanzia della mia preghiera non è quella di dire molte parole, la garanzia della mia preghiera è molto facile da conoscere: come mi comporto con il povero? Perché Dio sta lì». Poco prima di essere assassinato poi pronunciò queste parole-testamento che possiamo fare nostre: «Chiunque lotta a partire dalla resurrezione del grande liberatore, Cristo, solo costui è un autentico cristiano».
L'indifferenza oggi è forse il veleno che determina maggiormente il diffondersi di questa mentalità opprimente. Tanto combattuta con vigore dalla testimonianza personale di papa Francesco. Lui, quella teologia l'ha vissuta e se ne è impregnato. Con coerenza. A tutti perciò spetta il dovere di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà. Poiché l'impegno per la fraternità non è un hobby. È l'obbligo di responsabilità come rivoluzione permanente contro il dispotismo del male. Come Davide che, impugnando la fionda del coraggio, confidando nel bene, abbatte Golia e la forza bruta della paura e della schiavitù.