Ad ogni lezione un’avventura
Ad ogni lezione un’avventura
I figli mi boicottano. Luciano, in particolare, ha capito che il filo delle cuffie mi tiene bloccata al computer: quando le indosso è perché sono in diretta, quindi non mi muoverò dalla postazione, nemmeno a fronte di disastri nelle stanze vicine.
Disastri che puntualmente si verificano. Ieri, mentre correggevo gli esercizi di latino, mi si presenta il frugoletto con atteggiamento supplichevole: «Mamma, posso giocare con la pistola ad acqua?». Mi prende il terrore: assolutamente no, tento di scandire con il labiale. Lui si sposta fuori dal mio campo visivo e pochi minuti dopo salta la luce in tutta la casa. Collegamento interrotto, panico generale; corro in cucina e trovo un lago per terra; c’è acqua dappertutto. Luciano brandisce un fucile ad acqua degno di Rambo (ripescato chissà come dalla borsa dei giocattoli da mare) riempito per metà; ha evidentemente deciso che il mio divieto non contava nulla. Il problema è che, nel tentativo di centrare il buco di riempimento, ha aperto il rubinetto al massimo mandando schizzi ovunque, incluse le prese elettriche, facendo saltare il salvavita. Per riconnettermi con gli studenti e con il resto del mondo devo aspettare che le prese si asciughino, e nel frattempo passo sul pavimento una decina di stracci per riportare la cucina ad uno stato vagamente normale.
Altra lezione, altra avventura; in questi giorni continuo a sperimentare metodi nuovi. Un’ora di fila in videoconferenza può essere difficile da seguire, quindi proviamo a spezzare: leggiamo insieme un testo, ne spiego alcune parti. Poi chiedo ai ragazzi di rispondere in autonomia alle domande di analisi, ma tengo attivo il collegamento. In questo modo, durante lo svolgimento dell’esercizio, potranno rivolgermi le loro domande. Lascio loro alcuni minuti di tempo: alla fine faremo il punto insieme. Tutto fila a meraviglia, e per alcuni esaltanti secondi mi sento l’insegnante del futuro. Peccato solo che i miei figli, proprio mentre smetto di parlare, diano inizio a una lite furibonda per il possesso di una scatola di colori. Sul concetto di condivisione tra fratelli abbiamo ancora ampi margini di miglioramento, e quindi dalla stanza accanto partono urla fortissime. Per qualche secondo spero che la classe non le senta. Ma è solo un attimo.
Poco dopo un ragazzo, con voce esitante, mi chiede: «Scusi prof, può spegnere il microfono? In sottofondo si sente baccano e non riusciamo a concentrarci». I bambini sono riusciti a disturbare a chilometri di distanza: dev’essere una specie di record.
Indomita, non demordo. Inizio a ripetere gli usi del participio, ma qualche minuto dopo mi appare in video un studentessa che saluta e sorride, evidentemente rivolta a qualcuno accanto a me. Mi giro: al mio fianco, silenzioso come un gatto (come un puma, direbbe lui) è comparso Luciano. Concentrata sulla spiegazione, non avevo fatto caso al suo arrivo. E adesso lui è qui a sorridere agli studenti, proprio mentre cercavo di riportarli al rigore della sintassi latina. Dovrò spiegare di nuovo dall’inizio, perché tutti si sono distratti. «Prof - commenta la studentessa in video - i bambini sono meravigliosi. Quando sarà finita la quarantena posso propormi come baby-sitter?».