La guerra di Giorgio Graffer il pilota trentino specialista in «speronamenti»
Giorgio Graffer e le sue imprese. Quando, per la terza volta, il capitana della Regia Aeronautica Giorgio Graffer di Trento disse di aver abbattuto, speronandolo, un bombardiere inglese che stava attaccando Torino, rischiò di non essere creduto. Poi un pilota britannico che si era gettato con il paracadute, raccontò che le missioni sul Piemonte erano ritenute le più pericolose per via di quell’aviatore che puntava il suo biplano sugli impennaggi di coda degli aerei di Sua Maestà facendoli precipitare. Una vicenda ricordata da Antonio Bonomi, classe 1919, intervistato da “l’Adige” il 6 agosto dello scorso anno nel centesimo compleanno di un testimone straordinario di un secolo di esperienze di vita, ma anche delle imprese di quel personaggio al quale hanno dedicato, nella meraviglia delle Dolomiti di Brenta, il celebre rifugio al Grosté.
Quando il 10 giugno di 80 anni fa Benito Mussolini si affacciò al balcone di Palazzo Venezia per annunciare la guerra all’ Inghilterra e alla Francia ormai vinta dalle armate hitleriane, Graffer era ufficiale all’aeroporto di Torino, comandante della 365ª Squadriglia del 150º Gruppo che impiegava i biplani Fiat C.R.42 detti “falchi” mentre Bonomi era aviere nello stesso stormo. Tutti e due erano trentini e l’amicizia fu immediata. E l’ ottima memoria, l’eccellente freschezza di linguaggio di Bonomi, hanno permesso una puntale ricostruzione degli accadimenti di quel 1940.
La vetrata del balcone di Palazzo Venezia si era appena chiusa alle spalle del Duce e Galeazzo Ciano stava scrivendo sul suo Diario “l’avventura comincia. Che Dio assista l’Italia” che in Inghilterra, dall’aeroporto da Abingdon nell’ Oxfordshir decollavano nove bombardieri. Dovevano attaccare gli stabilimenti della Fiat Mirafiori a Torino. Il Duce aveva parlato alle 18 ad una folla oceanica; trenta minuti prima, a Palazzo Chigi, Ciano aveva consegnato a sir Percy Loraine, ambasciatore inglese a Roma, la dichiarazione di guerra e mentre, calata la sera gli italiani andavano a dormire tranquilli perché l’ avventura militare sarebbe stata breve, anzi brevissima visto che i tedeschi erano ormai a Parigi, la Raf preparava l’attacco all’ Italia.
A Torino la prima notte dell’Italia in guerra non era ancora terminata quando suonarono le sirene dall’allarme. In verità quella notte, in quasi tutte le città suonarono le sirene, ma si era ormai abituati a quell’ urlo lungo, stridente, di intensità crescente perché da tempo si svolgevano nelle notti dominate dall’oscuramento, le prove degli attacchi del nemico. Appena iniziava il crepuscolo ogni finestra veniva coperta con una tenda nera per impedire alla luce di filtrare all’esterno, le lampadine della illuminazione stradale erano state colorate di blu, i parafanghi delle auto dipinti di bianco e ogni cittadino doveva avere a portata di mano una lampada tascabile a batteria oppure quelle autarchiche, a dinamo. Il Duce voleva tener preparati e svegli gli italiani “per forgiarli alla immancabile pugna”.
Che cominciò sulla verticale di Torino. Il buio della notte venne “tagliato in diagonale” dagli accecanti fasci di luce dei riflettori azionati dai militi della contraerea; Graffer decollò con gli altri cacciatori, intercettò l’ Armstrong Whitworth AW.38 Whitley (siglaP4965/ZA-H) del 10 Squadron, cercò di abbatterlo con le raffiche delle mitragliatrici; non riuscendovi, lo speronò e si buttò con il paracadute. Il quadrimotore inglese riportò gravi danni e dopo un lungo volo attraverso la Francia, precipitò in mare davanti alle coste del Kent. L’episodio è il primo combattimento aereo notturno della Regia Aeronautica, ma dopo il secondo e il terzo speronamento, non trovando i resti dei bombardieri attaccati, fra gli aviatori di Torino-Caselle serpeggiarono quei dubbi poi cancellati dalla testimonianza del pilota inglese catturato dopo esseri salvato con il paracadute. Il settimanale tedesco Signal dedicò a Graffer un grande disegnò e lo chiamò “il cavaliere degli impennaggi” e il pilota fu insignito della Medaglia di Bronzo al valor militare.
Nel bombardamento morirono 17 torinesi, i primi civili italiani uccisi in quella guerra e non si sorrise più su quel “si gioca alla guerra”’ nei caffè dove, per dettato del Duce, erano spariti termini come sandwich, croissant, cognac divenute parole pericolose perché di altre nazioni. Infatti a partire dal luglio del 1923 Mussolini, aveva vietato l’uso dei termini stranieri – il tedesco non era in voga in un’ Italia da poco uscita dalla Grande Guerra – eliminato l’insegnamento bilingue nelle scuole slovene, proibendolo “energicamente” nel Sudtirolo dove era stata italianizzata la toponomastica. Con un sol tratto di penna, il fascismo aveva avviato quel processo che in pochissimo tempo portò all’eliminazione, dai vocabolari e dalla quotidianità, delle parole non autenticamente italiane e così nei caffè comparvero i tramezzini, il cornetto, l’hotel divenne albergo, lo sprint scatto, il film pellicola, Buenos Aires venne chiamata Buonaria e Louis Armstrong venne tradotto in Luigi Braccioforte e John Wayne, pseudonimo di Marion Robert Morrison, divenne Giovanni Vigna. Anche questa era l’Italia in camicia nera.
Poi il Duce decise di aggredire la Grecia. Partendo dall’Albania il Regio Esercito doveva raggiungere Atene in pochi giorni, ma fu una tragedia. I reggimenti “schipetari” composti da albanesi che avevano giurato fedeltà al Duce sparirono quasi subito e gli italiani, dimenticate le dure lezioni del Carso, si trovarono a combatte, a piedi, nell’ autunno inoltrato, fra montagne impervie, piogge, fango, neve, pietraie e valli dove si perse ogni collegamento addirittura con una divisione di fanteria. La trovò Graffer dopo aver volato per ore a bordo del suo biplano. All’alba del 28 novembre del Quaranta il 53º Stormo decollò con dieci C.R.42 per un’azione contro una base della RAF. Venti minuti dopo, Graffer avvistò una formazione di Gladiator sulla verticale di Delvinaki, in Epiro.
Subito l’ attaccò con gli altri C.R.42. Ma si trattava di una trappola. Dal diario della squadriglia: “Tre miglia più indietro ed a quota maggiore volavano altri tre Gloster e dietro questi, ad una quota superiore, altri tre. I primi tre piloti britannici, attaccati dai Falchi, chiamarono per radio i piloti che li seguivano a quota più alta e mentre Graffer ed i suoi compagni cercavano di abbattere i più agili (a quella quota) biplani britannici, gli altri sei Gladiator piombarono alle spalle della formazione italiana. Nel combattimento che ne risultò, il Fiat pilotato dal Sergente Corrado Mignani entrò in collisione con il Gloster del Flying Officer H.U Sykes ed entrambi i piloti morirono. Il sergente Achille Pacini venne abbattuto, ma si salvò con il paracadute. Il maresciallo Guglielmo Bacci ed il sergente Zotti vennero feriti, ma riuscirono a ritornare alla base. Fu ferito - al collo - anche il comandante della pattuglia inglese, Edward Gordon Jones che, con l’aereo danneggiato, dovette abbandonare il combattimento scortato dal Gloster del sergente Donald Gregory che rivendicò l’abbattimento di ben tre Fiat. Due abbattimenti vennero rivendicati dal comandante Jones ed un altro C.R.42 venne dichiarato distrutto dal Flying Officer Wanklyn Flower. In realtà la Regia Aeronautica perse tre biplani: uno per collisione, quello pilotato da Pacini, ed un terzo, su cui volava Giorgio Graffer, che restò ucciso. I piloti italiani dichiararono l’abbattimento di quattro Gladiator, ma la Raf subì solo la perdita del Gloster entrato in collisione, oltre al danneggiamento di quattro velivoli. In quella battaglia la Regia Aeronautica subì il colpo più grave dall’inizio della campagna di Grecia. Graffer venne decorato con la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. A lui è stato intitolato il 50° Stormo dell’ Aeronautica Militare Italiana.
(5. Continua)