Lidia Menapace, partigiana per sempre

Lidia Menapace, partigiana per sempre

di Alberto Faustini

In due parole, nella lettera che il generale Alexander mandò a casa di Lidia Menapace, a guerra finita, c'era tutta una vita: «Lidia resisté». È proprio così. Ed è stato così ogni giorno della sua vita: impegno, testimonianza, coerenza, rigore intellettuale, anche colpi di scena; soprattutto continua resistenza. Dopo il messaggio del generale, in quel 1945 che profumava di dolore, di libertà e di incubi che lasciavano spazio ai sogni, arrivò un'altra lettera dal ministero della difesa: «il brevetto di partigiana combattente, col grado di sottotenente». E lei, ricordando l'episodio fra lo stupito e il divertito, aggiungeva che poco dopo le arrivò il congedo militare «assoluto illimitato»: «come se volessero levarmi di torno senza appello», chiosava. Senza sapere, in quel tempo lontano, che l'assoluto illimitato sarebbe stato il riassunto della sua vita.

Sempre in prima fila. Sempre a difendere valori assoluti. Sempre con uno sforzo e uno sguardo che non avevano limiti. Senza paura d'essere minoranza. Senza paura di sostenere una maggioranza. Senza una paura che non fosse profondamente legata, come quando faceva la staffetta partigiana in bicicletta in Valsesia, in val d'Ossola e sul Lago Maggiore, a un coraggio quasi sfrontato.

Illimitato, appunto. «Avevo partecipato alla Resistenza contro l'occupazione nazifascista - scrisse qualche anno fa nel libro («Io partigiana») che dedicò agli studenti e alle giovani generazioni alle quali tanto teneva -: l'unica guerra nella storia italiana che è stata di popolo». Ma in un certo senso furono "guerre" di popolo anche la sua appartenenza alla Federazione universitaria cattolica italiana (la mitica Fuci), l'insegnamento (all'inizio degli anni Sessanta, all'Università cattolica), l'impegno infinito in politica. Sì, infinito. Perché da quando, nel 1964, entrò insieme a Waltraud Gebert Deeg in consiglio provinciale a Bolzano (la prima donna in consiglio e, di lì a poco, la prima donna in giunta), non smise mai di fare la politica. E nemmeno la partigiana, a ben guardare. Anomala anche in questo: radici cattoliche (democristiane), anima comunista (nel 2006 senatrice per Rifondazione), intellettuale generosa e curiosa, come ha detto ieri anche il presidente Mattarella, fu tra i fondatori del Manifesto (al tempo, dichiarandosi marxista, perse la cattedra alla Cattolica) e tra le promotrici del Movimento dei cristiani per il socialismo. Oratrice capace di ammaliare e di pungere con ironia fulminante, arrivata in questa terra per amore, diceva che «la parola resta la forma suprema del comunicare. Uso molto volentieri tutti gli alfabeti che via via si presentano, forme colori suoni e tecniche elettroniche - aggiungeva -, ma una parte del mio vagabondaggio dipende dal fatto che niente può surrogare l'esperienza diretta, l'incontro nel quale si sentono parole, accenti colori sapori odori dei luoghi e delle persone».


Quando si metteva in viaggio - come rivelò lei stessa, riferendosi a questa sua vita che ha attraversato il Novecento come lo avrebbe potuto fare solo una grande esploratrice - leggeva solo gialli: «Mi porto i libri di Patricia Highsmith, Ruth Rendell, Patricia Cornwell e Anne Perry: gialliste e anche, per lo più, femministe». È stata un'anticipatrice, Lidia Menapace: la prima a cogliere l'importanza «del linguaggio sessuato» (e qui torna in mente il prezioso lavoro di Alma Sabatini, studiosa da lei sempre citata); la prima a sostenere la necessità di un movimento delle donne («che è carsico come un fiume che talvolta sprofonda nelle viscere della terra per riapparire in luoghi e tempi imprevisti con rinnovata potenza»). È stata una grande (e coerente) pacifista: una frase contro le frecce tricolori e la sua posizione sempre dura nei confronti dell'acquisto di costosissimi aerei da guerra, per dire, le costò la presidenza della commissione difesa del Senato. Fra i suoi slogan preferiti, alcuni restano nella memoria: «Fuori la guerra dalla storia»; «A me fa sempre venir l'asma parlare di memoria condivisa»; «Dal 1941 sono decisamente antifascista perché il regime era autoritario, corrotto, razzista, guerrafondaio». La scelta per lei era ed è sempre stata netta: dalla parte del nazifascismo o dalla parte della Resistenza.
Detestava qualsiasi forma di pensiero unico. Considerava il lavoro il fondamento della nuova Italia. E amava ricordare un episodio antico, dell'epoca in cui decise di diventare una staffetta partigiana. «Tutto diventa lucido e chiaro, i dubbi si dipanano, le indifferenze scompaiono, il senso della storia è vivido; la mamma comincia ad aiutare quelli che fuggono la guerra e hanno bisogno, e per far ciò non le importa minimamente di violare leggi e disposizioni: da questo momento a casa nostra possono trovare ospitalità ebrei fuggiaschi, ragazzi renitenti alla leva, inglesi o americani scappati. Già dalla fine di settembre - scriveva ancora - ho deciso che devo agire: voglio entrare in contatto con i partigiani, voglio fare qualcosa per aiutare gli ebrei, voglio fare qualcosa di positivo contro il nazismo, contro il fascismo e cerco di ascoltare, di vedere, di sapere». Poi arriverà il nome di battaglia: Bruna. E inizierà il servizio regolare di collegamento e di notizie fra il Cln di Novara e le formazioni che sono in montagna («visto che ho abbastanza resistenza a girare in bicicletta»).


Ricordava i nomi di chi era morto in battaglia, quei nomi che durante la Resistenza aveva cercato di dimenticare (per non rivelarli in caso di tortura): «Noi che continuiamo a vivere dovremmo fare in modo di ricordarli orgogliosi di essere stati loro amici, di averli conosciuti, di aver chiacchierato, scherzato, vissuto con loro: in modo che il tran tran della vita non ci faccia mai diventare accomodanti, cinici, non ci faccia mai perdere la capacità di sdegnarsi e di dire no, quando occorre». Facile dire che il Covid l'ha piegata, ma la verità è che il suo pensiero e il suo insegnamento non si piegheranno mai. Perpetua testimonianza d'«assoluto illimitato». Partigiana e libera fino all'ultimo.

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