Mamma, nonostante il trapianto
Claudia Caon, 41 anni, ristoratrice di Scurelle, fra un po' compirà vent'anni. Sono i vent'anni della sua seconda vita quando, a 21, ha avuto un trapianto di rene. Lei, ragazzina delle scuole superiori, per 18 mesi ha dovuto sottoporsi a dialisi tre volte in settimana. Poi l'inaspettata telefonata. A Milano c'era un rene che l'aspettava. Ma la cosa eccezionale nella vita di Claudia non è stata la malattia e il trapianto, ma il fatto che non ha mai perso di vista gli obiettivi veri che si era data nella vita. E così, a pochi anni dal trapianto, ha messo alla luce Lara e due anni dopo Stefania
Claudia Caon, 41 anni, ristoratrice di Scurelle, fra un po' compirà vent'anni. Sono i vent'anni della sua seconda vita quando, a 21, ha avuto un trapianto di rene.
Lei, ragazzina delle scuole superiori, per 18 mesi ha dovuto sottoporsi a dialisi tre volte in settimana. Poi l'inaspettata telefonata. A Milano c'era un rene che l'aspettava. Ma la cosa eccezionale nella vita di Claudia non è stata la malattia e il trapianto, ma il fatto che nonostante tutto questa donna dal sorriso dolcissimo ma dal carattere determinato, non ha mai perso di vista gli obiettivi veri che si era data nella vita. E così, a pochi anni dal trapianto, ha messo alla luce Lara e due anni dopo Stefania.
«Avevo 16 o 17 anni quando casualmente, facendo le analisi del sangue, scoprii di avere alcuni valori molto sballati. All'epoca frequentavo al IV superiore e la cosa non sembravano molto grave. I medici parlavano di malattia passeggera. Qualche tempo dopo mi ricoverarono a Trento, nel reparto di nefrologia, dove fui visitata dal bravissimo primario Rovati. E lì i medici scoprirono che avevo una patologia renale cronica. A quel punto prima venni messa in dieta e poi iniziai la dialisi». Una vita non facile per una adolescente che per tre ore, tre giorni a settimana, doveva recarsi a Borgo, dopo la scuola, per la terapia. «Subito mi misero in lista per il trapianto e il tempo medio d'attesa, mi dissero, era di tre anni. Nel caso del rene si vive anche facendo dialisi, ma è evidente che più passa il tempo e più si affaticano anche gli altri organi». Fortunatamente per Claudia la telefonata dal policlinico di Milano arrivò molto prima del previsto, dopo 18 mesi. Poche ore per prepararsi, per andare prima a Trento e poi a Milano dove in tre ore, con il rene nuovo, è tornata a nuova vita. «Dopo il trapianto la mia vita è cambiata totalmente. Certo ancora oggi devo prendere dei farmaci, ma la dipendenza dalla dialisi, l'impossibilità di bere, la stanchezza sono per il momento lontani ricordi».
Claudia Caon gestisce con il marito un bar-pizzeria in centro a Scurelle. Tra lavoro e figli non si può dire che faccia una vita tranquilla. «Non sono mancati i momenti di sconforto, soprattutto all'inizio, quando era ragazza e non capivo perché la malattia avesse colpito proprio me. Ma comunque sono sempre stata ottimista e ho cercato sempre di fare ciò che mi piaceva. Ho proseguito la scuola, ho continuato a divertirmi, per quanto mi era possibile. Oggi guardando indietro mi mancano un po' quegli anni spensierati che io ho vissuto sicuramente in modo diverso rispetto agli altri. Sono comunque stata fortunata perché dopo il trapianto non mi sono fatta mancare nulla. Mi sono sposata, lavoro e ho avuto due bimbe». Un evento piuttosto raro, ma evidentemente possibile se mamma Claudia ce l'ha fatta. «Ho dovuto fare un po' più di controlli soprattutto per il fatto che comunque ho dovuto continuare a prendere dei forti farmaci ma le bambine sono nate entrambe al S. Chiara con parto naturale. Stanno bene e anch'io ho avuto due belle gravidanze».
Claudia Caon è una donna riservata. Non ama molto parlare di sé e nemmeno del suo percorso. Lo fa perché a lei un donatore ha salvato la vita e quindi in vista della giornata dei trapianti è consapevole dell'importanza di sensibilizzare le persone a questo immenso dono. «È importante che le persone si fidino dei medici, di quello che dicono. Capisco che la richiesta di donazioni avviene in un momento drammatico per l'altra famiglia, ma il gesto può in un certo senso aiutare perché comunque gli organi della persona continuano a vivere in altre».