Luca Zorzi: «Io geologo arrabbiato figlio di Stava»
«Stava è come un faro per me. Mi sta mostrando la strada da percorrere nella vita. È un pensiero ricorrente. Per chi ci vive e per chi studia quel che è successo lì è un pensiero fisso». A dirlo è un geologo. Ma non un semplice tecnico che, approfondendo le ragioni della tragedia, è diventato un esperto del caso.
Luca Zorzi è uno dei «figli di Stava», se possiamo chiamarli così. Fa parte di quella generazione che, per ragioni anagrafiche, non può ricordare. Ma è cresciuta interpretando i segni della tragedia: dal dolore della famiglia alle cicatrici nella montagna. Trent’anni fa, quando l’enorme ondata di fango stava travolgendo via Molini, Luca era in braccio alla sua mamma sul ponte di Tesero. Aveva soltanto un anno. I suoi occhi hanno visto senza capire, senza riuscire a memorizzare. Quelli della mamma hanno immortalato tutto. E hanno intuito l’immensità del dramma che si stava consumando.
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Oggi, da quella stessa prospettiva, Luca torna spesso a guardare la valle di Stava dal basso. «Non me lo posso ricordare quel giorno, ero troppo piccolo - spiega -. Ma tornando sul ponte di Tesero e guardando in su la valle quel che è successo si può rivivere anche oggi. Perché si sa che il greto del rio Stava segna il percorso della valanga di fango». Una scia di distruzione e di morte.
Luca Zorzi in val di Fiemme ci ha passato le estati. Da sempre. Abitava a Bolzano, ma i mesi più caldi li passava nella casa del nonno paterno a Tesero. A Stava, proprio in via Molini, c’era la casa della zia, che in quegli anni era l’unica in famiglia ad avere il telefono fisso. Quindi per poter chiamare papà che era rimasto in città a lavorare bisognava andare da lei. Era un appuntamento fisso quello: ogni giorno a mezzogiorno. Ma il destino ha voluto che quel 19 luglio 1985, il giorno della tragedia di Stava, Luca non fosse lì. Ci stava andando a Stava con la mamma, come ogni giorno appunto, ma i due erano in ritardo ed alle 12 e 22 erano ancora sul ponte di Tesero. Ignari testimoni di una terribile pagina di storia. Scampati alla tragedia ma vittime allo stesso tempo, perché sotto i loro occhi - più e meno consapevoli - il fango stava portando via per sempre un pezzo della loro famiglia. Sette vite cancellate in pochi secondi.
«Quel giorno abbiamo perso la zia e suo marito, la mamma dello zio, i due figli gemelli, la moglie di uno di loro ed il loro bimbo di cinque mesi». Luca Zorzi è un sopravvissuto. Lo ha capito crescendo. Ma assistere, seppur così piccolo, ad una tragedia provocata dalle mani dell’uomo e diventare grande ascoltando i racconti di Stava lo ha reso più sensibile a questi temi. Tanto che oggi Luca è un geologo.
«Il fatto d’essere diventato un geologo ha a che fare con la combinazione Stava e Vajont (il disastro che il 9 ottobre del 1963 provocò la morte di 1.917 persone, ndr ). Questi due eventi mi hanno portato sulla strada della geologia», svela Luca Zorzi. «Mettendo insieme studi universitari e personali sono andato più a fondo per capire quel che è successo e ora, nel mio piccolo, cerco di far conoscere il caso Stava nel mondo».
Il geologo legato alla val di Fiemme, infatti, ora vive all’estero, in Canada con la famiglia che ha costruito. «Sono finito a lavorare per una compagnia di ingegneria in cui i bacini di decantazione vengono progettati. Ho a che fare con queste opere e con le miniere, quindi, proprio come a Stava. È un caso strano della mia vita, a dir la verità. Non l’ho cercato, ma anche se inizialmente la mia strada era ben distante da tutto ciò è come se Stava fosse un faro che mi mostra la strada».
Vivere sulla propria pelle le conseguenze di un disastro come quello di Stava e poi capirne le ragioni approfondendo questa storia dal punto di vista tecnico («in questo caso parliamo di geotecnica più che di geologia», precisa Luca) incalza la rabbia. «Sapendo quel che è accaduto ci si arrabbia di più. E con Stava la reazione è più forte rispetto al Vajont» spiega il geologo. Non solo per una questione di affetti.
«Se per il Vajont certe decisioni prese allora sono in qualche modo accettabili, quel che è successo a Stava fa arrabbiare di più. Perché le conoscenze anche in quegli anni erano già piuttosto note. I principi base o le possibilità per capire la totale instabilità di quelle strutture era possibilissimo anche all’epoca. Anche senza simulatori. E la rabbia monta, in maniera esponenziale».
Luca Zorzi però non si è fermato a questo e sta cercando di fare in modo che quel che è accaduto, il prezzo alto che la val di Fiemme (e non solo) ha pagato in termini di vite umane, non resti una pagina nera della storia. «Cerco di diffonderlo nel mondo, ora in Canada ma spero anche altrove, per poterne trarre un insegnamento». Perché forse quei due occhi innocenti sul ponte di Tesero trent’anni fa non erano lì per caso.