Una volta c'erano studenti, oggi migranti africani Le storie che arrivano dalla residenza Brennero
Settantadue persone sono ospitate nella residenza Brennero, al Motel Agip. Si tratta di ragazzi, nella grande maggioranza hanno meno di trent'anni, provenienti dall'Africa subsahariana che, dopo un primo periodo di accoglienza nel centro di Marco, sono stati trasferiti in città. Di loro si occupano alcuni operatori, bravi, preparati e con un sorriso per tutti, di varie associazioni che fanno riferimento al Cinformi: ragazze e ragazzi, anche loro molto giovani, che gestiscono queste persone nella loro quotidianità, aiutandoli nella «giungla» della burocrazia, ma anche, molto più banalmente, fornendo un supporto per fare una visita medica o nell'andare a fare la spesa. L'atmosfera nella struttura è estremamente tranquilla. Sia la mattina sia il pomeriggio si effettuano dei corsi di italiano, ma si stanno attivando, o sono già state attivati, una serie di progetti per favorire l'integrazione.
Domani il Comune di Trento ufficializzerà e fornirà i dettagli di un'attività di pulizia strade della quale si occuperanno i profughi, divisi in piccoli gruppi. Profughi che sono in attesa dei permessi di soggiorno definitivi e, nel frattempo, cercano di imparare la lingua e di inserirsi, passo dopo passo, nella società trentina. Intanto l'andare a vedere una partita di basket (sabato scorso al PalaTrento) o fare una sgambata di corsa passando per le vie del centro rappresentano una vera gioia. L'obiettivo di tutti è uno solo: poter lavorare e potersi rendere indipendenti. Ovvero, vivere una vita normale. Tutti i ragazzi con i quali parliamo (non prima di averci stretto la mano e salutato in italiano) ci dicono che il loro unico sogno è quello di trovare un lavoro. Un qualsiasi lavoro. Nel frattempo attendono, studiano la lingua e cercano qualsiasi occasione per potersi integrare con la popolazione. Una volta il Motel Agip era uno studentato: ragazzi giovani che vanno avanti e indietro, una partita a biliardino, la musica che esce dalle stanze. Oggi è un centro di accoglienza e l'immagine è esattamente la stessa. La differenza sono le storie delle persone presenti.
LE STORIE
Boubacar Camara (a sinistra nella foto in alto), 18 anni, senegalese, è uno dei ragazzi più amati della struttura, una sorta di mascotte. Capiamo subito il perché: il suo sorriso è contagioso e, nonostante sia in Italia da pochi mesi, è uno di quelli che parla meglio l'italiano. «Io vorrei diventare un cuoco, è quello il mio sogno. Cibo africano? No, no. Voglio cucinare spaghetti e pasta all'italiana, sono molto bravo. Non vedo l'ora di poter fare qualche corso, imparare e poi iniziare a lavorare, magari aiutando qualche cuoco bravo ed esperto. Nel frattempo studio italiano, vado a correre e ogni dieci giorni vado a fare la spesa con i miei compagni di stanza». All'ex studentato ogni due stanze c'è una cucina comune. Pare banale, ma cucinare è modo per conoscersi, collaborare, sentirsi autonomi e indipendenti. La spesa la fanno mettendo da parte i 2,50 euro che ricevono ogni giorno, la loro unica entrata. Come ci dicono, ogni settimana circa mettono insieme i soldi e vanno a fare la spesa. Pastasciutta, riso, pollo, un po' di frutta sono i prodotti più gettonati. In città, in centro storico, ci vanno solo ogni tanto. «Di solito passo in centro quando vado a correre», ci dice Boubacar. Che poi si dimostra il ragazzino (in senso positivo) che è. «Le ragazze. Sai, oltre a studiare l'italiano e iniziare a lavorare vorrei trovare una ragazza. Quelle italiane sono bellissime, veramente bellissime. Ma a me piace tutto dell'Italia, voglio restare qui a vivere, è il mio sogno. La musica? Ascolto quella italiana, perché mi aiuta a imparare tante parole. E poi l'hip hop americano». Parole di un diciottenne. Normalissimo, come tutti i diciottenni.
Ad esempio c'è Mamudou Baldeh (a destra) Viene dal Gambia e ha 28 anni. Tre mesi fa è arrivato a Marco e poi è stato trasferito a Trento, ma il suo viaggio è iniziato molti mesi prima. Ha attraversato Gambia, Senegal, Mali, Burkina Faso, Nigeria e Libia. Poi una barca. «C'era il motore ma non funzionava. La traversata fino all'Italia è durata due giorni, le onde ci spingevano e alla fine siamo arrivati».
Anche lui, come tutti, vuole solamente un lavoro. «Nel mio Paese accompagnavo le mucche, non so come si dica in italiano. E poi coltivavo la terra, facevamo il mais. Qui in Italia posso fare qualsiasi lavoro: ora devo aspettare per i documenti, ma poi cercherò. Devo dire che mi avete accolto bene: i volontari sono bravi e gentili, ma non ho amici italiani ancora, perché non è facile avere dei momenti per conoscere le persone». Sul telefonino ci fa vedere la foto insieme a Toto Forray: «Lui è un campione, il mio preferito. Siamo andati sabato scorso a vedere la partita. È stata una bellissima serata, siamo stati insieme, abbiamo fatto il tifo e poi abbiamo conosciuto i giocatori». Poi la musica: «Ascolto sempre questa» e parte il brano di Marracash e Neffa. «Bella eh? Mi aiuta per l'italiano. Poi ascolto anche Fedez».
Sotto il suo cappello se la ride Alassane Sow (al centro), 23enne della Mauritania. «Il mio viaggio è iniziato il venti giugno del 2011. Dopo aver attraversato mezza Africa da sei mesi sono in Italia e da quattro in Trentino. Anche io sono in cerca di un lavoro, quello che c'è va bene». Le giornate alla residenza Brennero sono tutte molto uguali. «La mattina ci svegliamo verso le otto, poi c'è il corso di italiano, che è molto importante perché senza la lingua non riusciremo a fare nulla. A pranzo cuciniamo insieme, è un momento di incontro, per stare insieme. Nel pomeriggio magari andiamo a correre. Il calcio? Io tifo per Inter, Milan, Juventus. La Roma no. Invece il Napoli sì». E se la ride.