Rauzi: cambiare la formazione dei preti «C'è poca cultura»
«Il problema di fondo a mio parere è che se l'obiettivo centrale della Chiesa è costruire prima il celibe e poi il prete, si rischia di arrivare a una certa immaturità che porta poi a confondere piani completamente diversi, come in questo caso, ovvero quelli della pedofilia e dell'omosessualità che appartengono a situazioni completamente diverse». Piergiorgio Rauzi, sociologo, osservatore attento dell'evoluzione della Chiesa e del suo rapporto con i cambiamenti della società, cerca di riportare la vicenda di don Gino Flaim. «Sul quale non mi pronuncio, ha la sua storia e non voglio intervenire su quello che ha detto» spiega Rauzi. Che, invece, cerca di allargare lo sguardo a quello che è il rapporto tra la Chiesa nel suo complesso e la sessualità, ovvero la capacità dei parroci in particolari di affrontare tematiche, comprese quelle collegate alla famiglia, che vedono solamente dall'esterno, visto l'obbligo del celibato.
Ma per quanto riguarda la confusione tra pedofilia e omosessualità, per Rauzi, c'è da capire anche quanta capacità ci sia da parte dei preti che escono dal seminario di tenersi aggiornati e continuare a studiare. Per il sociologo, infatti, espressioni come quelle di questi giorni derivano anche da «una mancanza di cultura. Perché non sono pochi i preti che una volta usciti dal Seminario ritengono di avere tutto il bagaglio culturale necessario a interpretare il mondo e non studiano più, né si aggiornano. Ma il mondo è completamente cambiato in pochi decenni e, rispetto agli anni ?50, non c'è più una ristrettissima cerchia di persone che comprendeva il prete, il medico, il sindaco e il farmacista che erano gli intellettuali e basta. Oggi occorre essere al passo con i tempi anche solo per poter leggere e capire le notizie dei giornali».
Per Rauzi, inoltre, il prete dovrebbe cambiare il proprio ruolo, a partire dalla questione del celibato. «Sono molto attento a quanto si sta trattando nel Sinodo sulla famiglia - spiega Rauzi - ma lascia perplesso il fatto che si guardi alla famiglia da parte di un mondo, quello dei vescovbi e deli prelati, celibe per legge. I quali su questo argomento di fatto non hanno conoscenze dirette e vedono le cose solo dall'esterno. Il che può avere dei vantaggi, perché si osservano le cose da fuori e senza coinvolgimento, ma comporta anche molti svantaggi». Tra questi, anche quello di non essere preparati a conoscere le varie sfumature della vita e di avere una certa «immaturità che, come in questo caso, fa confondere piani completamente diversi». Costruire il futuro prete «partendo dall'idea di farne prima un celibe - però - rischia di far sì che la sua scelta e vocazione non siano davvero mature e profonde». Mentre esperienze di questo tipo, in ambito cattolico, ce ne sono ancora. «Penso a quelle delle suore di clausura intervistate per la tesi di laurea da mia figlia: in quel caso siamo di fronte a scelte fatte con una consapevolezza profonda e con una maturità chiara. E si tratta di persone con una istruzione spesso molto elevata».
Per Rauzi, quindi, la Chiesa dovrebbe riflettere sul «celibato per legge» che è «un problema» anche alla luce del fatto che «c'è una crisi delle vocazioni tra i preti e un aumento della loro età media, per cui, se si proiettano i dati attuali sul futuro, sul medio periodo si rischia di rimanere senza preti o quasi». Ma non solo, per Rauzi la Chiesa dovrebbe guardare quelle comunità religiose, come in alcune zone della Calabria, in cui di fatto il celibato non è un obbligo per chi fa il religioso. Per Rauzi, poi, la questione più ampia che la vicenda Flaim riporta sotto i riflettori è pure quella dell'approccio della Chiesa alla sessualità. «Vedo ancora dei testi angustianti sul tema della sessualità nell'ambito della preparazione degli insegnanti laici di religione. Mi pare che la Chiesa dovrebbe avere invece un approccio più sereno al tema della sessualità».