«Chi cade in errore va protetto»
Parla Monsignor Giulio Viviani, già cerimoniere pontificio
«Al di là della polemica di questi giorni, è evidente che la responsabilità per un'opinione ricade unicamente sulla persona che l'ha formulata. Ugualmente, le parole di un sacerdote, magari dette in modo affrettato o senza la dovuta riflessione, non possono essere considerate come la posizione della Chiesa cattolica». Paola Springhetti , scrittrice, giornalista ed esperta di comunicazione religiosa, non è voluta entrare nel merito della vicenda che, nei giorni scorsi, ha coinvolto don Gino Flaim , ormai ex collaboratore pastorale della parrocchia cittadina di San Pio X. Intervenuta a margine dell'incontro «Deontologia e prassi dell'informazione religiosa», organizzato nella mattina di ieri dall'associazione Ucsi di Trento (Unione stampa cattolica), Springhetti ha rilevato come, a suo modo di vedere, l'intervista televisiva fatta al sacerdote trentino su temi quali la pedofilia e l'omosessualità, e poi rimbalzata su tutti i media nazionali, fosse viziata in partenza da due elementi distinti: l'eccessivo incalzare dell'intervistatrice e la mancanza di titoli dell'intervistato.
«L'idea che mi sono fatta della cosa - ci ha detto la giornalista, direttrice del periodico "Reti solidali", a margine del convengo dedicato ai professionisti dell'informazione - è che, come spesso succede, una giornalista ha formulato delle domande ad una persona priva di particolari competenze e, di fatto, non titolata a rispondere su argomenti tanto delicati. Non dobbiamo dimenticare, poi, che i riflettori spesso rendono le persone dei soggetti deboli, che non direbbero certe cose se avessero il tempo per riflettere attentamente. L'incalzare dell'intervistatrice non ha aiutato una persona che, probabilmente, in quel momento non era lucida. Ciononostante, mi chiedo ancora per quale ragione l'intervista sia stata fatta proprio a lui».
Sulla questione è intervenuto anche monsignor Giulio Viviani , già cerimoniere pontificio, che ha risposto alle domande dei giornalisti presenti evidenziando l'importanza del ruolo dei media nel denunciare errori o eventuali mancanze, ma rilevando anche la necessità di proteggere all'interno della comunità dei fedeli chi sbaglia.
«Credo - ha detto Viviani - che l'interesse della stampa nei confronti della Chiesa sia buona: vi è davvero la volontà di conoscere e comprendere una realtà in cui si riconoscono i cristiani. Ad ogni modo, se vi è del male, è giusto denunciarlo. E il male deve anche essere espiato. Ma non dimentichiamo che la comunità cristiana è come una famiglia, dove anche le persone che cadono in errore vanno protette». «Ciò comunque - ha concluso - non deve essere inteso come giustificazione di chi ha sbagliato».