«Segregata in casa e trattata da schiava»
L'incubo di una giovane sposa marocchina
Un matrimonio combinato e sette anni d'inferno. Segregata in casa, trattata come una schiava da marito e suocera: aveva 17 anni Zohra (nome di fantasia) quando è arrivata in Italia per vivere con il marito. «Pensavo di condurre una vita bella e tranquilla in Italia, così come avevo una vita bella e tranquilla in Marocco» confida la ragazza. Il sogno di cambiare Paese e di crearsi una famiglia è sfumato non appena ha messo piede nella casa del marito, in un sobborgo di Trento: niente telefono, niente chiavi dell'appartamento, senza soldi e senza documenti, costretta a rimanere fra le quattro mura, a fare le pulizie ed a cucinare per tutti i parenti che in quell'appartamento vivevano (fino a dieci persone), dai suoceri ai cognati. Non poteva uscire da sola, né chiamare la sua famiglia in Marocco se non in presenza della suocera che ascoltava la conversazione.
Zohra ha avuto il coraggio di raccontare il suo incubo solo quando è riuscita a trovare rifugio in una casa famiglia. Il marito e la suocera dovranno rispondere davanti al giudice di maltrattamenti in famiglia e di violenza privata, per aver costretto la giovane donna ad una vita domestica umiliante, attraverso «atti vessatori tali da soggiogare completamente la volontà». Il processo, che si è aperto ieri in tribunale a Trento, è stato rinviato al prossimo anno.
La giovane aveva 16 anni quando si è sposata, in Marocco. «È stato un matrimonio combinato» ammette. Il marito, che in Italia ha studiato ed è cresciuto, lascia subito il paese d'origine per tornare a Trento, dove lavora. L'anno dopo - era il 2007 - la ragazza lo raggiunge. Pensava di poter continuare a studiare e a uscire da sola come faceva in Marocco, ma i suoi sogni di giovanissima sposa si sono tramutati in un incubo. Era la suocera, come racconta Zohra, a comandare tutti; il suocero, invece, la proteggeva e le aveva acconsentito anche di seguire un corso di lingua italiana. Ma alla morte dell'uomo la ragazza si trova completamente sola, sempre più assoggettata alla suocera, segregata in casa, senza la possibilità di fare una passeggiata, di comperare un vestito o semplicemente di fare la spesa.
Dopo una parentesi abbastanza serena legata alla gravidanza, Zohra viene nuovamente costretta a servire la famiglia del marito, ad alzarsi presto per portare la colazione a letto alla suocera, lavare e stirare, cucinare per tutti, accudire i figlia della cognata mentre questa era al lavoro.
Il marito non l'avrebbe mai difesa dai soprusi, anzi obbligata ad avere rapporti sessuali e, alcune volte, colpita con schiaffi. Zohra sopporta le botte, ma soffre per i continui soprusi a cui è sottoposta. «La violenza maggiore sono stati il controllo continuo e la segregazione, l'essere costretta a servire tutti come una schiava e la continua minaccia di portarmi via mia figlia», racconta la giovane donna. Infine la svolta, nel febbraio dello scorso anno: un viaggio in Marocco durante il quale la suocera le prende i documenti e il marito se ne va con la figlia. Per tornare in Italia la ragazza deve attendere che le venga rilasciato un nuovo passaporto e nel frattempo viene a scoprire che il marito ha iniziato in Marocco le pratiche per il divorzio.
È quando arriva a Trento, dopo un paio di mesi, che Zohra decide di raccontare tutto ad un'assistente sociale, spiegando di aver sopportato per anni le angherie e le minacce e perché non conosceva nessuno che potesse aiutarla. «Sono stata brava e servizievole perché non volevo che mi togliessero mia figlia» evidenzia. I genitori in Marocco non sapevano nulla, perché lei non aveva mai potuto parlare con loro liberamente al telefono, con la suocera che era sempre al suo fianco per controllarla, per ascoltare le conversazioni e poi riferire al figlio, «complice» nei maltrattamenti.