Protesi ko dopo due anni Danno e pure maxi conto
Imprenditore chiedeva 110 mila euro, condannato a pagare spese per 50 mila
Stava lavorando presso un cantiere quando la protesi all'anca destra ha ceduto. Costretto a sottoporsi ad un nuovo intervento, l'uomo - un imprenditore edile - ha fatto causa all'ospedale e ai medici, chiedendo un risarcimento di 110 mila euro per lo stop «forzato» dall'attività lavorativa. Ma al danno subìto, per l'ex paziente, rischia di aggiungersi la beffa: i giudici hanno rigettato la sua richiesta di risarcimento, ritenendo che i medici abbiano eseguito correttamente l'intervento e lo hanno condannato a pagare le spese legali. Tradotto in cifre, per i due gradi di giudizio, vuol dire 50mila euro da sborsare.
I fatti risalgono al febbraio 2007 quando l'uomo, 65 anni, si sottopone all'intervento chirurgico di protesi all'anca presso l'ospedale San Camillo. Il decorso è positivo, ma due anni dopo, nel marzo 2009, l'uomo cade a terra mentre si trova in cantiere: la testa della protesi si è rotta. A quel punto deve sottoporsi ad un nuovo intervento e affrontare la successiva riabilitazione. L'imprenditore, costretto a interrompere la sua attività lavorativa, il 18 marzo 2011 promuove una causa civile contro l'ospedale (assistito dagli avvocati Giulio e Maria Emanuela de Abbondi) ed i due medici che lo hanno operato (difesi da Filippo Valcanover e Marco Berti), chiedendo 110 mila euro di risarcimento. Una richiesta respinta però al mittente da entrambi che, da una parte, evidenziano di avere eseguito l'intervento correttamente e dall'altra chiamano comunque in causa la casa produttrice della protesi che, a cascata, fa altrettanto con la sua compagnia assicuratrice (rappresentata dall'avvocato Vittorio Cristanelli).
Il giudice Aldo Giuliani, per fare luce sulla vicenda, ha affidato una consulenza medica al professor Fabio Cembrani, dalla quale è emerso che l'intervento venne eseguito correttamente e, dunque, che nulla potesse essere imputabile ai medici. Per quanto riguarda la protesi, il consulente non ha riscontrato difetti, indicando semmai una insufficienza della tenuta biomeccanica, migliorata poi con il progresso tecnologico. Diversamente la difesa dell'imprenditore, ha insistito perché si ravvisasse una responsabilità dei chirurghi, che non avrebbero impiantato un prodotto adeguato. Ma sul punto, l'avvocato Cristanelli ha chiarito che la domanda risarcitoria non era stata estesa al produttore, al quale dunque nulla poteva essere chiesto, tanto più a fronte dell'assenza di un difetto di fabbrica. Alla fine il giudice, con sentenza del maggio 2014, ha dunque rigettato la domanda risarcitoria e condannato il 65enne a pagare anche le spese legali e quelle di consulenza.
Ma l'imprenditore non si è dato per vinto ed ha presentato appello, chiedendo e ottenendo l'istanza di sospensione dell'efficacia della sentenza, per non dovere mettere mano subito al portafoglio. L'esito, però, non è cambiato: lo scorso ottobre la domanda è stata rigettata e l'uomo condannato a pagare le spese legali. Alla fine, il «conto» da pagare, è di circa 50mila euro. Somma cui deve aggiungersi la parcella del suo legale. Ora è pendente il ricorso in Cassazione.