Incontro sui senza fissa dimora. Ecco chi sono e come si possono aiutare
Perdita del lavoro, la rottura di relazioni famigliari come un divorzio ma anche la perdita di un coniuge o di un figlio, la dipendenza da droga e alcool, l'uscita dal carcere. Sono queste le cause principali che spingono una persona a diventare un senza fissa dimora: categoria umana accentuata dalla crisi, invisibile ai censimenti e alle statistiche, tendenzialmente emarginata dalle istituzioni che offrono per lo più politiche emergenziali. Temi affrontati nel corso dell'incontro tra Michela Braga, Università Bocconi di Milano, e Roberta Carlini co-direttore del quotidiano Pagina 99, organizzato nell'ambito del Festival dell'economia di Trento.
Possono avere differenti nomi: senza tetto, homeless, senza fissa dimora, clochard, esclusi, barboni. Non hanno una casa nel senso fisico del termine, ma possiamo anche dire che non hanno un ambiente di vita idoneo per poter sviluppare delle relazioni affettive. Possiamo anche immaginarci individui che per scelta di vita abbandonano ogni convenzione sociale e si pongono volontariamente ai margini. O ancora possiamo pensare ad individui che sono vittime della crisi economica e del sistema sociale. Qualunque sia la definizione che vogliamo dare, si tratta di veri e propri “invisibili”. Invisibili per i comuni cittadini. Invisibili per i politici che non li identificano come potenziali elettori, perché non hanno una legale residenza. Ce ne accorgiamo solo nei periodi in cui “l’emergenza freddo” li porta alla ribalta della cronaca, o peggio ancora quando diventano oggetti di brutali violenze. Invisibili anche per le statistiche ufficiali, che analizzano quelli in condizioni di povertà, assoluta o relativa, ma non considerano gli altri, quelli che non hanno nemmeno una fissa dimora e vivono in condizioni di povertà estrema ed esclusione sociale. Proprio perché “invisibili”, nascosti, difficili da approcciare, in continuo movimento all’interno delle aree urbane, una vera e propria mappatura richiede difficoltà non trascurabili. E, nella quasi totalità delle indagini, la base di campionamento comunemente utilizzata sono le abitazioni. Per questi motivi gli homeless vengono sistematicamente esclusi dalle statistiche ufficiali sulla povertà e sulla diseguaglianza sociale. I dati raccolti nelle principali capitali europee nei conteggi annuali segnalano un trend fortemente crescente del fenomeno. In Italia la fotografia più aggiornata è quella di Milano con il secondo Censimento Completo della popolazione dei Senza Fissa Dimora della città del 2013 (il primo venne condotto nel 2008 grazie alle borse Riccardo Faini). Rispetto al 2008 il fenomeno è aumentato complessivo del 69 per cento così che l’incidenza sul totale della popolazione residente nella città è passata dallo 0,12 per cento al 0,21 per cento. È diminuita però la percentuale di chi dorme in strada – i cosiddetti rough sleepers – grazie al significativo aumento di forme di accoglienza emergenziale nei mesi invernali.
Ma allora, quali sono i volti dei senza casa? Si tratta prevalentemente di uomini nella parte centrale della loro vita (l’età media è di 41,2 anni e il 46 per cento della popolazione censita ha tra i 25 e i 44 anni), con un aumento degli immigrati, così come degli individui che dichiarano di essere sposati o di avere un partner. Sono individui con un livello di istruzione medio alto. Il 30% ha ricevuto sussidi finanziari, dei quali il 19% dal pubblico, ma gli stranieri non riescono ad accedervi. Girano “portandosi dietro” la loro “misera ricchezza”, fatta di poche cose e stracci impilati su carrelli, o infilati in borsoni, spesso accompagnandosi con animali da compagnia, cani soprattutto. E li vedi girare per le strade, per la città, alla ricerca di quei servizi essenziali messi a disposizione: da una parte la mensa, dall’alta la doccia, da un’altra ancora il riparo dal freddo. E i nuovi invisibili, quelli della generazione tecnologica, non sono del tutto estranei alle nuove tecnologie: spesso hanno un pc o un cellulare. È proprio così impossibile, allora, mapparli e raggiungerli?
Tra le cause principali del fenomeno, vi è la perdita del lavoro, oppure la rottura di relazioni famigliari (divorzio ma anche la perdita di un coniuge o di un figlio), la dipendenza da droga e alcool, l’uscita dal carcere.
In Italia gli interventi sui senza dimora sono nella quasi totalità dei casi di tipo emergenziale e assistenziale: i cosiddetti “piani anti freddo” che consistono nell’incrementare l’offerta di posti letto durante i periodi dell’anno in cui il clima è più rigido e nel fornire coperte, cibo e bevande calde, con il supporto di volontari e del terzo settore. Non c’è però un’evidenza empirica dell’efficacia degli interventi sul reinserimento degli homeless nella società. Certo, fornire i servizi essenziali è fondamentale, ma il rischio è che ci sia una cronicizzazione di questo “status di homeless” per la maggior parte di essi. Ad esempio, ci si occupa di loro per la notte, in apposite strutture, o quando le temperature scendono d’inverno sotto zero. O quando è l’ora di mangiare. Ma di giorno? Dove vagano gli homeless, dove trovano luoghi in cui non sentirsi discriminati? Più che altro sono necessari approcci innovativi per ridurre o prevenire la nascita del fenomeno, così da incanalare le risorse verso quegli interventi che effettivamente producono risultati positivi drenandole da tutti quegli interventi inefficaci.
A livello internazionale il primo approccio è quello delle politiche per il possesso di un alloggio, tendenza che si sta diffondendo anche in Italia. Mentre dall’America, ed in particolare San Francisco (ma anche a Milano) arrivano positivi esempi di supporto da parte delle biblioteche pubbliche, che accolgono di giorno i senza tetto. Ad aggravare il fenomeno, però, è anche la reazione della società, oltre ad una mancanza di coordinamento e di razionalizzazione degli interventi a vari livelli.