Punto d'Incontro chiuso «Per motivi di sicurezza»
«Siamo trincerati, chiusi all'interno del Punto d'Incontro. Una situazione del genere non si era mai verificata prima. Lunedì saremo nuovamente chiusi». Racchiudono delusione e rabbia le parole di Michele Boso, vicepresidente della cooperativa: delusione per non poter proseguire serenamente un servizio prezioso per le persone in difficoltà; rabbia per non avere gli strumenti per poter fermare, ma anche aiutare, l'uomo che da una settimana sta importunando sia verbalmente che fisicamente gli ospiti e gli operatori del Punto d'Incontro e della mensa dei cappuccini alle Laste. Non sono mancate le aggressioni, l'ultima ieri durante il pranzo che per motivi di sicurezza - proprio affinché l'uomo non combinasse altri guai - veniva distribuito in sacchetti attraverso la finestra. La persona, che sta manifestando seri problemi di equilibrio psichico, è un trentenne tunisino noto alle forze dell'ordine e anche agli operatori del Punto d'Incontro, che frequenta in maniera alterna da una decina d'anni.
Ieri nella sede di via Travai il cancello era chiuso. Lo straniero si è presentato alle 11.15. «Aprivamo solo agli ospiti che si presentavano per il servizio docce. Lo abbiamo visto e subito chiamato la polizia. L'operatore era ancora al telefono, quando se l'è trovato davanti: aveva superato il muretto ed il cancello. L'operatore è riuscito a scappare dalla porta di emergenza, mentre l'uomo inveiva contro di noi e contro un volontario che parla la sua lingua. Ma all'arrivo delle volanti della polizia si è calmato», spiega Boso. Gli è stato consegnato il sacchetto del pranzo e se ne è andato. Ma è ricomparso non appena la polizia è ripartita. «Ero in strada a parlare con due ospiti e l'ho visto tornare. Voleva una sigaretta, ma non l'avevamo. Allora ha iniziato a buttare per terra i bidoni delle immondizie, a gettare in strada l'organico, a colpire con oggetti le finestre. Ha gettato via il cibo. Si è pure messo a petto nudo, urlava. Sono arrivati i carabinieri e si è calmato. Poi si è incamminato verso piazza Fiera». Un gran caos, insomma, che ha attirato l'attenzione delle persone che abitano nella zona. «Urlava che avrebbe ammazzato tutti quelli che bevono e sono sporchi», raccontano i testimoni.
Per capire il motivo della «chiusura» del Punto d'Incontro, bisogna fare un passo indietro, alla decisione presa con sofferenza dai responsabili dopo l'episodio di mercoledì, quando il trentenne tunisino ha rovesciato i vassoi del pranzo e ha sferrato un pugno in faccia ad un'operatrice (la donna ora indossa il collarino ed è in malattia) e ad un suo collega. Ma ci sono stati altri episodi: sempre durante il pranzo, lunedì scorso ha lanciato una sedia contro un ospite straniero che ha difficoltà a deambulare perché sosteneva che «puzzava»; venerdì sera, dopo la cena dai cappuccini, ha aggredito nuovamente lo stesso ospite sull'autobus. Sarebbe sempre lui, secondo altri ospiti del Punto d'Incontro, l'uomo che ha sferrato un pugno al responsabile della mensa dei cappuccini, nei giorni scorsi.
«Non abbiamo scelto di chiudere per paura, ma per garantire la sicurezza degli operatori e degli ospiti - spiega il vicepresidente Michele Boso, anche ieri presente nella sede di via Travai - La decisione vale anche come messaggio alla cittadinanza: non è giusto che una persona che vive in strada e che ha un background difficile venga da noi e si senta libero di aggredire, di insultare, di picchiare. È allucinante che lo faccia una volta e che torni anche il giorno dopo, costringendo a trincerarci ed a distribuire i pasti attraverso la finestra. Lunedì saremo chiusi: oltre al pranzo, solitamente servito a 150 persone, non distribuiremo neppure la colazione, né ci sarà il servizio docce. Sarà chiusa la sala di accoglienza. Lo facciamo non per paura, ma perché in una società civile non è possibile che ci sia un'escalation di violenza e che non si possa far nulla».
Anche al compianto don Dante Clauser, fondatore e «anima» dell'accoglienza nella sede di via Travai, capitò una situazione simile e decise di chiudere per un giorno. «Ora, però, ci sentiamo come topi in gabbia. Facciamo un appello - precisa Boso - è necessario che si faccia rete fra polizia, carabinieri, sanità, Provincia e Comune».