Il carcere «modello» ormai è sovraffollato
A Trento i detenuti dovrebbero essere 245 e invece sono 368. Non si vedono soluzioni concrete all’orizzonte
È nuovo, moderno, eppure già sovraffollato. Il nuovo carcere di Spini avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi legati alla detenzione a Trento, invece neppure sei anni dopo la sua inaugurazione in pompa magna con tanto di ministro Angelino Alfano, a Spini si ripropongono molti dei problemi che erano anche della vecchia Casa circondariale di via Pilati.
Due in particolare sono i nodi, che si intrecciano, da sciogliere: troppi detenuti e troppo pochi agenti di polizia penitenziaria. Questa duplice emergenza fa sì che il penitenziario, con le carte in regola per essere un istituto di pena modello, non funzioni come avrebbe dovuto.
La Provincia, nell’ambito di un accordo economico sottoscritto con lo Stato nel 2001, si fece carico di un’operazione di civiltà sostenendo i costi per la costruzione del nuovo carcere di Spini di Gardolo.
Nell’accordo sottoscritto con il Ministero dall’ex presidente della Provincia Lorenzo Dellai, c’era anche una clausola che avrebbe dovuto mettere Trento al riparo dal cronico sovraffollamento tipico delle carcere italiane: il limite massimo doveva essere di 245 detenuti.
Quella barriera invalicabile è in realtà un colabrodo. A Spini i detenuti sono costantemente oltre quota 300. «In questi giorni - conferma il comandante della polizia penitenziaria, Daniele Cutugno - siamo intorno ai 366-368 detenuti, vicini alla capienza massima tollerabile per le aree normalmente utilizzate per le detenzione».
Viene dunque rispettato il parametro di 3 metri quadri a detenuto per non incorrere nelle sanzioni dell’Unione europea, ma certo al taglio del nastro nessuno immaginava che il sovraffollamento sarebbe stato un problema cronico anche a Spini.
Può la Provincia puntare i piedi e pretendere il rispetto dei patti? Probabilmente no. «Non credo ci siano strumenti giuridici su cui far leva - conferma Dellai - perché la gestione delle carceri è una competenza rimasta in capo allo Stato».
Ma ci sarebbe una strada da percorrere, lunga ma più efficace: «Se la Provincia lo vuole, più utile potrebbe essere cercare di raggiungere una nuova intesa. Attraverso una norma di attuazione specifica - prosegue il presidente della Commissione dei Dodici - si potrebbero trovare forme di collaborazione per la gestione delle carceri tra Provincia autonoma e Stato, nel solco di quanto è stato fatto per l’amministrazione della giustizia. È un terreno, però, ancora tutto da esplorare».
La collaborazione tra Stato e Provincia potrebbe contribuire a risolvere anche l’altro cronico problema del carcere di Spini: la carenza di personale nelle fila della polizia penitenziaria. A fronte delle 214 unità previste dal Ministero, quelle disponibili sono 108.
Tolte ferie, malattie, congedi, per le attività di custodia in carcere e per il servizio di traduzioni e piantonamento (per un detenuto ricoverato in ospedale, magari per un mese, sono necessari anche 8 agenti al giorno) rimane un manipolo di uomini, costretti a fare turni di lavoro spesso massacranti. «Dall’esterno - sottolinea Cutugno - è difficile cogliere quanto possa essere duro e stressante un turno di servizio di un agente di polizia penitenziaria.
Posso assicurare che non è facile stare seduto per otto ore in una postazione che da sola, attraverso monitor, controlla tre braccia per un totale di 110-120 detenuti che ti tempestano di richieste attraverso l’interfono.
Tra i detenuti ci sono tossicodipendenti cronici con psicosi, paranoie e altre patologie psichiatriche che possono distruggere tutto quello che hanno in cella in pochi secondi. Nelle loro celle abbiamo dovuto mettere sanitari di metallo e plexigas alle finestre perché altrimenti sfasciavano tutto e usavano i cocci per devastarsi. Nonostante tutto questo, il lavoro viene fatto con impegno, ma non basta perché poi vieni criticato e accusato ingiustamente».
La soluzione dei problemi purtroppo non è all’orizzonte. Sul fronte della polizia penitenziaria un po’ di sollievo potrebbe venire da 17 uomini il cui arrivo è stato chiesto da tempo dalla direzione. Se poi rientrassero in servizio a Trento anche parte dei 24 agenti distaccati altrove (alcuni però sono atleti delle Fiamme Azzurre), la situazione migliorerebbe. Ma per poco perché nei prossimi 3 anni si calcola che oltre trenta agenti in servizio a Trento andranno in pensione.