Il primo Natale e Capodanno in Trentino, lontani da guerra, freddo, fango e morte
Il 2016 è un anno che non dimenticheranno mai: l'hanno iniziato in un campo profughi in Libano, in tende di fortuna, al freddo. Poi, all'improvviso, una mano tesa per aiutarli, un viaggio in aereo e uno in pullman, e l'arrivo in un posto nuovo, sconosciuto, ma diverso e accogliente. Ora si apprestano a vivere il loro primo Natale e Capodanno nella nuova casa, ma con il pensiero e il cuore sempre rivolto a quella vecchia, che ormai è un cumulo di macerie. I ventinove siriani arrivati nel marzo scorso in Trentino grazie al corridoio umanitario di Operazione Colomba sono nel frattempo diventati trenta: se Trento per loro resterà sempre un simbolo di vita ritrovata, Mohammad, nato il 3 luglio scorso al Santa Chiara, è l'emblema della loro rinascita.
Quando arriviamo a San Nicolò, nella collina tra Piedicastello e Ravina, nelle strutture messe a disposizione dall'Arcidiocesi, incontriamo subito Mohammad, che ci guarda con i suoi curiosi occhioni neri. È in braccio a Marta Matassoni, l'operatrice che insieme a Tommaso Vaccari e alle due volontarie del servizio civile Chiara e Victoria, lavora nel progetto di accoglienza.
«Attenzione a quelle cassette di cachi, le ha portate poco fa una signora di Ravina», ci dicono mentre entriamo.
È una mattina come tutte le altre a San Nicolò: tredici dei diciassette bambini sono a scuola, alle elementari o alla materna, mentre gli altri quattro sono ancora troppo piccoli. Gli adulti, invece, sono chi a lezione di italiano, chi in casa, occupati in normali faccende quotidiane, dal cucinare a prendersi cura dell'orto o delle tre galline, e chi al lavoro. «Alcuni fanno i volontari da Mandacarù, altri hanno partecipato alla vendemmia per le cantine Ferrari», racconta Tommaso. «Dopo i primi mesi di ambientamento, stiamo entrando in una seconda fase, nella quale cerchiamo di farli essere più autonomi. Hanno imparato a spostarsi senza dipendere da altri, per andare a fare la spesa o per accompagnare il figlio all'allenamento di mini basket».
In tutto questo l'aiuto della comunità trentina è stato ed è fondamentale: a volte fanno più rumore due beceri post su Facebook, ma gli stessi siriani ci confermano di come ci siano decine di persone che hanno dato una mano in questi mesi, magari senza farsi troppa «pubblicità», ma dimostrando che valori come l'accoglienza e la solidarietà sono ancora ben vivi. «Durante l'estate, quando le scuole erano chiuse, sono venute tante persone a far giocare i bambini oppure ad accompagnarci al supermercato o a fare una cena o una merenda insieme», rivela Ahmad. «Si tratta del gruppo giovani di Ravina o degli scout o di qualche associazione, ma anche di singoli cittadini, vogliosi di aiutare», aggiunge Tommaso.
«In tutto il mondo ci sono persone - prosegue Ahmad - che lavorano per la guerra e la violenza, ma la maggioranza sono per la pace è l'accoglienza. E anche a Trento è così: siamo stati alla manifestazione di martedì e abbiamo visto tantissima gente. Anche noi le scorse settimane abbiamo saputo di quanto accaduto a Soraga e Lavarone e ci dispiace per le persone che sono andate lì: come noi sono scappati per paura».
Nel frattempo, tra un caffè e un thè, arrivano Rami, ventotto anni, papà di Hatem, detto Atumi o Tumino, e di Abudi. Ci dicono subito che è un ottimo cuoco. «Faccio la pizza e anche la pasta, i maccheroni», ci racconta un po' in italiano un po' in arabo. «Sulla lingua tutte le donne sono più brave gli uomini. E i bambini ormai capiscono già tutto», sorride Marta dopo aver tradotto.
Arriva anche Mohammad, ventitrè anni e grande sciarpa verde, bianca e nera. «I colori della Siria, la porto sempre. Lì c'è ancora mia sorella, mentre i miei amici sono tutti morti. In Siria ma anche nei campi in Libano si muore di freddo, i bambini muoiono di freddo». A tutti chiediamo dove si immaginano nel prossimo futuro. E tutti ci rispondono allo stesso modo. «In Siria, se Dio vorrà. In Siria».
I VOLONTARI
Un lungo cammino verso la normalità. Normalità che vuol dire dormire sotto un tetto, mangiare un pasto caldo, mandare i bambini a scuola: i trenta siriani ospiti da nove mesi in Trentino questa normalità la stanno trovando, ma il loro cammino, di fuga prima e di stabilità poi, non si fermerà. Il loro obiettivo, infatti, è tornare a casa. Prima o poi, quando anche lì potranno condurre una vita normale, torneranno. In questo cammino un ruolo fondamentale lo hanno le persone che si incontrano: per loro sono Tommaso Vaccari e Marta Matassoni, insieme alle volontarie Chiara e Victoria. Quattro giovani che ogni giorno si prendono cura di loro, per quanto riguarda la complicata burocrazia, ma anche per tante cose più banali e pratiche. I quattro parlano arabo, sono formati e preparati per affrontare un lavoro non facile. Un lavoro che, a parte lo stipendio a fine mese, è una missione.
[[{"type":"media","view_mode":"media_large","fid":"1526851","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"375","width":"480"}}]]
Certo, nel loro caso non va dimenticato il fondamentale contributo della Diocesi, della Provincia, di Cinformi, di associazioni ed enti. Ma alla fine ogni mattina, ogni pomeriggio e ogni sera sono loro a doverci mettere del proprio, a fare la differenza.
Nella mattinata che trascorriamo a San Nicolò in ogni gesto e in ogni parola si percepiscono i rapporti di fiducia e rispetto che sono riusciti a instaurare con i trenta ospiti. Marta non molla un secondo Mohammad, così come Hatem, che tutti chiamano «Tumino», non molla un secondo gli altri volontari, cercandoli per giocare o farsi prendere in braccio e coccolare. Tommaso gli presta anche il suo telefonino, e Tumino, da bambino 2.0 riesce ad andare su WhatsApp e ascoltare i messaggi vocali del fratellino di 4 anni.
Oltre che umano, il ruolo dei volontari è anche politico. «I corridoi umanitari - spiegano Marta e Tommaso - sono un'ottima soluzione per evitare i pericolosi viaggi in mare. Ma si tratta di una soluzione per pochi e comunque temporanea. Noi di Operazione Colomba abbiamo presentato a Bruxelles un documento condiviso: lo abbiamo dato a Frans Timmermans,vicepresidente della Commissione europea e Commissario europeo per la migliore legislazione, le relazioni interistituzionali, lo stato di diritto e la carta dei diritti fondamentali. L'idea è semplice: coinvolgere gli stessi siriani nelle trattative e far sentire la loro voce. Spesso accade che a decidere per quel popolo sia proprio chi lo ha distrutto e lo sta distruggendo».
I trenta siriani e i quattro volontari si apprestano a vivere il loro primo Natale e Capodanno insieme. Un momento particolare dell'anno, anche per gli ospiti islamici. «Sappiamo cosa è il Natale - ci spiega Ahmad sfruttando la traduzione di Tommaso e Marta - perché abbiamo sempre vissuto con i cristiani. Noi non lo festeggiamo con gli stessi riti, ma anche nel Corano c'è un passaggio che parla di dividere e condividere, per questo in quei giorni facciamo dei regali alle persone più povere. I Capodanno, invece, lo festeggiamo anche noi allo stesso modo, con il conto alla rovescia e i fuochi nel cielo. Per quanto ci riguarda siamo contenti di essere qui al sicuro, in un luogo dove non c'è la guerra: ma non possiamo festeggiare, perché c'è un senso di colpa per essere qui tranquilli mentre i nostri amici, parenti e concittadini muoiono».