Il Collettivo studentesco contro sprechi e biblioteca

Continua la lotta contro gli sprechi trentini del Collettivo studentesco Refresh. Sprechi - dicono - che quando si parla di università e di diritto allo studio, si traducono in disservizi per gli iscritti all’ateneo.

Nel mirino c’è ancora la Buc (Biblioteca universitaria centrale), realizzata nel quartiere delle Albere: una protesta no stop, visto che tutto era iniziato con l'inaugurazione della struttura. Dall'alto gli studenti del Collettivo avevano fatto cadere una pioggia di finte banconote sulla testa degli invitati.

Oggi alle 18 si terrà un’assemblea pubblica nell’atrio interno di Sociologia.

«Per capire meglio (la questione biblioteca universitaria,ndr) - scrivono i membri del Refresh - c’è bisogno di prendere in considerazione la storia del processo che ha portato a cambiare il progetto della biblioteca tra il 2008 e il 2014 in conveniente coincidenza con il passaggio di controllo e finanziamento dell’Università di Trento da Stato a Provincia, la cosiddetta “provincializzazione” o “delega” iniziata nel 2010.

TROPPO LONTANA

Una biblioteca centrale universitaria dunque dovrà essere raggiungibile nel minor tempo possibile da universitari, ovvero vicino ai luoghi dove questi si trovano. La biblioteca di Palazzo Ex Cavazzani (o CIAL) si trova in tale posizione ideale, a 5 minuti a piedi dalle facoltà di Lettere, Sociologia, Giurisprudenza ed Economia, a ridosso della ferrovia Verona-Brennero. Poiché era sottodimensionata rispetto alle esigenze di un’Università in continua espansione, l’ateneo commissiona all’architetto Sandro Botta nel 2008 il progetto di una biblioteca centrale appena oltre la ferrovia, in Piazzale Sanseverino, acquistato con i suoi propri fondi (forniti dallo Stato) nel 2002».

La Buc è stata usata per arricchire chi già è ricco. Il ridimensionamento della biblioteca (della metà almeno) è stato inserito esclusivamente entro logiche di centrificazione urbana e speculazione edilizia che vanno ad arricchire le solite famiglie ed imprese della borghesia trentina e della Chiesa Cattolica

DA SANSEVERINO ALLE ALBERE

Il Collettivo Refresh a la cronistoria del ping pong urbanistico e dei soldi spesi. «Il processo si incaglia fino al 2013, quando un vertice trilaterale tra l’allora rettrice de Pretis, il sindaco di Trento Andreatta e il vicepresidente della Provincia Pacher, decide per l’abbandono del progetto su Sanseverino e apre allo spostamento nel quartiere Albere, al posto del centro congressi».

Il progetto originario di Sandro Botta variava da 1212 a 900 posti studio. Parte del progetto era il mantenimento dei posti auto del “piazzale Sanseverino”, che sarebbero stati interrati in più piani».

Poi è stata scelta la soluzione "alternativa": la collocazione nel quartiere delle Albere: «(...) i posti auto sono stati sostituiti da scaffali e postazioni interrate in una zona ad alto rischio inondazione del fiume Adige, una possibilità stimata nell’ordine una ogni 30 anni circa, in cui le prime vittime sarebbero i libri stessi, con buona pace della priorità allo studio. Insomma, almeno 500 posti in meno rispetto al progetto precedente».

MANCANO I SOLDI

«La Provincia non paga. Da sei anni a questa parte la Provincia - dicono gli studenti del Collettivo citando il Corriere del Trentino - ha mancato di versare la sua parte di pagamenti all’Università, risultando in una mancanza di 200 milioni di euro. Dal 2010, per essere precisi, anno di inizio della delega (o provincializzazione) dallo Stato alla Provincia dell’onere di finanziamento. Cioè da quando buona parte del finanziamento pubblico dell’Ateneo di Trento non deriva più dal Ministero dell’istruzione ma dalla Provincia Autonomia di Trento. I circa 30 milioni l’anno che la Provincia deve all’università, come stabilito, non sono arrivati all’ateneo».

DISSERVIZI AGLI STUDENTI

«(...) La Buc è stata usata per arricchire chi già è ricco (...) Il ridimensionamento della biblioteca (della metà almeno) è stato inserito esclusivamente entro logiche di centrificazione urbana e speculazione edilizia che vanno ad arricchire le solite famiglie ed imprese della borghesia trentina e della Chiesa Cattolica (che detiene circa il 30% del patrimonio immobiliare della provincia, giusto per ricordarlo) tramite lo strumento numerose volte dimostratosi fallimentare del project financing. Fallimentare dal punto di vista del bene pubblico e del risparmio, ovviamente, visto e considerato che alla fine i soldi pubblici vanno sempre a risolvere i buchi degli investimenti privati».

LE RAGIONI DELLA PROTESTA

Il Collettivo universitario critica quindi i vertici dell’ateneo e della Provincia. L’ultima protesta si è espressa con l’occupazione del Cial perché «è stato chiuso senza motivazioni plausibili per evitare che l’apertura della Buc fosse un fallimento. Anche chi lavora al Cial fatica a comprendere la riduzione degli orari, spiegabili solo con il fatto che si doveva dimostrare subito il successo della Buc, una biblioteca sottodimensionata, raccontata bene, bella e lucidata a dovere».

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