Inchiesta Itas: tutti i retroscena Sms dell'investigatore: «Sono fritti»
Nell'inchiesta che riguarda l'Itas emergono nuovi particolari che, se provati, aggraverebbero la situazione dell'ormai ex direttore Ermanno Grassi. Al manager, indagato dal 20 ottobre scorso, la procura contesta anche di aver minacciato e poi rimosso dal loro incarico due dipendenti colpevoli di essersi interessati troppo dei suoi «affari» durante la ristrutturazione della casa da oltre 650mila euro fatta pagare all'Itas.
Il presidente Giuseppe Di Benedetto che temeva di essere spiato con delle «cimici» dal manager - al quale era stato sospeso il potere di firma e da due anni era nel mirino dei controlli interni dopo che erano emersi i primi sospetti sulle truffe - nell'autunno scorso fece bonificare il proprio ufficio dai carabinieri del Ros.
I nuovi dettagli sull'Adige oggi in edicola. Qui sotto il riassunto del caso giudiziario con i retroscena.
Evitare di essere denunciato per le presunte truffe messe in atto ai danni di Itas e farsi liquidare i premi per oltre 390mila euro che l'ex direttore generale del Gruppo Itas Ermanno Grassi, ma anche ad altri dirigenti, avrebbero incassato.
Attorno a questi due elementi, secondo quanto ricostruito nell'ordinanza firmata dal giudice Marco La Ganga, ruoterebbe la presunta estorsione messa in atto dal top manager in danno del presidente Giovanni Di Benedetto. Contestazione che ha fatto scattare la misura interdittiva del divieto di esercitare incarichi direttivi, chiesta dai pubblici ministeri Carmine Russo e Marco Gallina e disposta dal gip Marco La Ganga a fronte del «grave rischio di recidiva».
Diciamo subito che in questa fase si tratta di contestazioni ancora tutte da provare e che Grassi, indagato anche per calunnia e truffa, respinge ogni addebito. Assistito dal suo avvocato Matteo Uslenghi, mercoledì mattina si è presentato per l'interrogatorio davanti al gip e ritiene di avere dimostrato che non c'è stato alcun ricatto. Quanto alla presunta estorsione, lo stesso Di Benedetto è netto: «Non sono ricattabile». Intanto, il lavoro della magistratura prosegue e l'inchiesta si allarga, con altri soggetti indagati.
L'INVESTIGATORE PRIVATO IN CAMPO
Secondo l'accusa Grassi il 14 marzo 2016 si sarebbe rivolto ad un investigatore privato e gli avrebbe chiesto di pedinare il numero uno della compagnia assicurativa. Il motivo? Secondo i pm voleva raccogliere informazioni su questioni personali. Il 20 marzo, giorno di vigilia del cda che avrebbe dovuto deliberare i premi, attraverso un messaggio whatsapp, l'investigatore avrebbe rassicurato Grassi sugli elementi raccolti: «Ormai sono fritti».
IL CDA E I PREMI DA LIQUIDARE
A quel punto, secondo quanto ricostruito dal gip, Grassi avrebbe fatto scattare il presunto ricatto. Minacciandolo di divulgare le notizie raccolte, avrebbe costretto il presidente «a non avanzare richieste di danni della società o presentare querela per i fatti descritti nei capi di imputazione successivi, nonché ad approvare il documento previsto al punto dieci dell'ordine del giorno del consiglio di amministrazione del 21 marzo 2013». Una riunione in cui si stabiliva la liquidazione di 392 mila euro, a titolo di premio per il 2015, per sé ed altri dirigenti. In questo modo si sarebbe garantito «l'impunità» per gli episodi a lui addebitati ed anche le somme liquidate in suo favore
L'INDAGINE SI ALLARGA
Ad accendere i riflettori della magistratura e dei carabinieri del Ros sull'operato di Grassi sono state le dichiarazioni rese da una ex funzionaria, prima demansionata e poi licenziata, con l'accusa di avere usato oltre 400 mila euro del fondo destinato ai gadget per scopi personali. Ma il procuratore capo Marco Gallina precisa che il quadro probatorio non si fonda solo sulle dichiarazioni della ex dipendente, ma su acquisizioni giudiziarie. L'indagine, inoltre, non è certo chiusa e sono in corso verifiche su altre persone, che potrebbero avere avuto un ruolo nella realizzazione delle presunte truffe ai danni di Itas.