Senza il tedesco Trentini perdenti

di Federica Ricci Garotti

Mia figlia mi ha mostrato un simpatico video girato da un simpatico ragazzo (Stefano Piffer, giornalista di Radio Dolomiti) che ha lo scopo di illustrare e demolire tutti i pregiudizi sul Trentino. Il video è carino e spiritoso, e pone a confronto Trentino e Sudtirolo.

Il principale scopo comunicativo di quel video è far conoscere al mondo quanto siano distanti i trentini e il Trentino dal Sudtirolo e dai sudtirolesi. In particolare due elementi distanziano le due province, secondo l’autore del video: in Trentino, contrariamente al Sudtirolo, non si parla tedesco e non ci sono minoranze.

La visione del Trentino che permea dal video, al di là del suo evidente obiettivo di farsi due risate, è tuttavia interessante e suscita alcuni interrogativi a una non trentina di sangue ma decisamente di adozione, lunga e partecipata, quale io sono. Per prima cosa mi domando perché i giovani trentini tengano tanto a sottolineare la loro differenza con i vicini sudtirolesi.

A smarcarsi cioè da una provincia che certamente ha caratteristiche molto diverse ma che ha condiviso col Trentino molta parte della sua storia e della sua cultura e la risposta è che negli ultimi trent’anni non si sono evidentemente compiuti quei passi di avvicinamento, integrazione e collaborazione tra due province che costituiscono una regione che i politici del secondo Dopoguerra si aspettavano e avevano auspicato.

Perlomeno due generazioni dopo gli anni Cinquanta si sono progressivamente allontanate da un’idea di regione e si sono impegnate per separare in tutti i sensi, culturale, politico e sociale i destini delle due province.

Ma non è questo l’elemento più interessante, bensì il fatto che almeno due generazioni di trentini, in particolare quella degli attuali venti-trentenni, non sente particolari differenze tra il proprio territorio e le altre regioni o province italiane, mentre sente profondamente, e ci tiene a rimarcarla, la differenza con i propri vicini del nord.

Di conseguenza mi domando: cosa faranno questi giovani dell’autonomia che hanno ereditato e che evidentemente non sentono? Se è certamente giusto sentirsi cittadini del mondo, in questo mondo dovrebbe anche essere giusto includere ciò che ci è prossimo e che di fatto dovrebbe condividere con noi maggiori storie rispetto a chi ci è distante sul piano storico e geografico.

Non ho la risposta, ma un’ipotesi sì. Per anni, per decenni, un’intera generazione politica ha lavorato duramente per rendere l’autonomia trentina un elemento scontato e invisibile del territorio. Per decenni è stato perseguito un costante e tenace lavoro di smantellamento di tutto ciò che poteva rendere il Trentino effettivamente differente da altre regioni italiane confinanti, negando in primis la cura della vicinanza al mondo tedesco e delle proprie minoranze. I giovani trentini (lo so per certo perché ogni anno lo chiedo ai miei studenti) ignorano completamente la presenza di minoranze germanofone sul territorio.

A stento riconoscono l’esistenza di una minoranza ladina e spesso la associano solo ai ladini sudtirolesi. La maggior parte dei giovani trentini non parla e non legge il tedesco, pur avendolo studiato a scuola. I loro risultati sono infinitamente inferiori alle competenze dei giovani veneti, emiliani e lombardi che lo hanno studiato per meno tempo e magari in modalità opzionale.

Di questo posso dare documentazione accurata essendo io germanista all’università di Trento. Avendo partecipato in prima linea alla battaglia per mantenere saldo il ruolo del tedesco nella provincia da quando negli anni ‘90 iniziò la penosa contrapposizione tra il tedesco (antico) e l’inglese (moderno) posso testimoniare che la miopia della classe politica locale negli ultimi anni del Novecento adesso raccoglie i suoi miopi frutti.

Il tedesco è stato smantellato poco a poco, la sua specificità culturale e la sua modernità che ben sono state colte dalle altre regioni italiane sono state negate e distrutte con una sistematica operazione di ignorante diffamazione.

L’idea del tedesco è stata associata a pantaloni di pelle e cappelli con le piume che avrebbero reso il Trentino gretto e povero. Ho una notizia: i sudtirolesi si vestono coi jeans e le scarpe sportive (dovrei dire sneakers?) come i bolognesi e le vetrine di Bolzano non hanno niente da invidiare a quelle di Milano (a differenza di quelle trentine). Allo stesso modo le minoranze provinciali sono state ignorate, messe all’angolo, tollerate da una politica sempre impegnata a dipingerle come un fenomeno folkloristico marginale e tutto sommato grossolano, un relitto storico da cui non c’è niente da imparare. Non c’è mai stata una vera campagna educativa e informativa per rendere i trentini consapevoli che le minoranze e la vicinanza al mondo tedesco sono una risorsa e non una palla al piede per questo territorio.

E adesso che veneti e lombardi reclamano le proprie competenze regionali come il Trentino, vorrei rivolgermi ai politici soprattutto di sinistra che hanno scordato la lezione di federalismo del socialista Cattaneo (probabilmente non l’hanno mai letto né sanno chi sia), che non sanno che il nazionalismo è una bandiera del fascismo, non del socialismo, in nome di una uguaglianza nazionale che non è mai esistita, e chiedere: come giustificate l’autonomia? Come la spiegate ai giovani (che evidentemente non la conoscono e non la vogliono)? Come pensate di mantenerla? Negando ogni specialità? Affrettandovi a sottolineare che il Trentino è uguale alle altre province? Trasferendovi più a sud, più a est, più a ovest? Come pensate, se pensate, di rimediare ai danni fatti dai vostri predecessori che prima o poi, nel disastro ambientale e politico che stiamo vivendo su questa terra, verranno alla luce? Il passato non si può correggere, ma del futuro vedo poche tracce. 

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