Conto ripulito dall'amica Prelievi per 13mila euro
I primi prelievi, probabilmente, sono passati inosservati. Poche decine di euro, forse cinquanta. Ma quando sul conto corrente sono iniziati a comparire addebiti superiori ai 250 euro, il proprietario del bancomat ha capito che qualcosa non tornava ed ha pensato che gli avessero clonato la carta.
Invece, a prelevare il denaro - circa 13mila euro in cinque mesi - non sarebbe stato un abile sconosciuto, ma una donna di cui si fidava ciecamente. Un’amica che frequentava casa sua e che - questa è l’accusa - gli avrebbe a più riprese sottratto il bancomat per fare prelievi, spinta da difficoltà economiche. La donna è finita a processo con l’accusa di furto aggravato e violazione dell’articolo 55, comma 9, del decreto legislativo 231 del 2007 che punisce chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi.
L’imputata, che pure avrebbe ammesso il fatto, sosteneva però che la natura del rapporto con la vittima fosse di altro genere, ovvero di essere stata la convivente. Ma questa tesi non ha convinto il giudice, che l’ha condannata a 1 anno e 2 mesi di reclusione, 300 euro di multa, al risarcimento di 13mila euro in favore della parte civile e al pagamento delle spese di costituzione, liquidate in 5000 euro.
I fatti sono successi a Trento tra il maggio e il settembre 2015.
L’imputata, secondo l’accusa, proprio approfittando del rapporto di amicizia con la vittima e della frequentazione di casa sua, sarebbe riuscita a sfilargli il bancomat e a rimetterlo poi al suo posto, effettuando in questo modo prelievi in serie. All’inizio l’uomo non si sarebbe però accorto di nulla. Il campanello d’allarme è suonato quando, sul conto corrente, ha iniziato a notare prelievi per importi superiori ai 250 euro. Certo di non avere mai preso al bancomat cifre così elevate, l’uomo ha pensato di sporgere denuncia, convinto che qualcuno gli avesse clonato la carta e facesse shopping con i suoi soldi.
Ma la vicenda ha poi preso una piega diversa, quando l’uomo, facendo una serie di verifiche, ha ottenuto dalla donna una «confessione» - prodotta in aula - rispetto a quei prelievi. Denaro che l’imputata avrebbe preso per fare fronte a difficoltà economiche. La donna, però, si è difesa, sostenendo che lei e l’imputato vivevano insieme. Un rapporto che, nella prospettiva dell’imputata, l’avrebbe dunque «autorizzata» a fare conto sul denaro dell’uomo. La vittima, per parte sua, ha negato. E alla fine, per la donna, è arrivata la condanna.