Mette in rete video hard della ex Trento, condannato un sessantenne
Un filmato erotico privato, girato tra le mura di casa e spedito al compagno. Un «gioco» tra innamorati, che però - a relazione finita - si sarebbe trasformato nel peggiore strumento di vendetta nelle mani dell'ex compagno.
L'uomo, infatti, avrebbe postato quel video sul profilo social della donna. Non solo. Avrebbe inviato fotografie dell'ex nuda ad alcune amiche e avrebbe spedito alla vittima messaggi minacciosi e volgari. Lui, difeso dall'avvocato Michele Busetti, nega tutto, ma il giudice Marco La Ganga, al termine di un processo in rito abbreviato, ieri lo ha condannato a dieci mesi per diffamazione aggravata e stalking.
La vicenda risale all'estate 2016. Protagonisti sono un sessantenne, che all'epoca viveva in città e l'ex compagna di lui, una cinquantenne. La relazione, come capita, è finita. Un addio segnato da un nuovo amore della vittima, che l'ex non avrebbe accettato. Dal rancore sarebbe nata la vendetta. L'imputato, secondo l'accusa, avrebbe postato sul profilo Facebook di lei un video hard, un filmato di auto erotismo che la stessa vittima gli aveva inviato su Whatsapp quando stavano insieme.
Ad accorgersi della pubblicazione, corredata con frasi di esplicita volgarità, sono state le amiche della vittima, riuscite a fare rimuovere subito il filmato. Ma foto che ritraevano la donna nuda sono arrivate anche alle stesse amiche, sia via Whatsapp che attraverso Messenger. La donna, il 10 agosto, ha dunque sporto una prima querela per diffamazione aggravata e minaccia, visto che aveva ricevuto anche messaggi intimidatori: «Se denunci ti taglio la gola». Il numero da cui provenivano i messaggi, secondo la vittima, era quello dell'ex, che avrebbe avuto anche le passward per accedere alla sua pagina Facebook e un falso profilo da cui sarebbero partiti i messaggi istantanei alle amiche.
A questa querela ne è seguita una seconda, il 18 ottobre 2016, per stalking.
La donna ha denunciato di avere perso il lavoro a causa di quel video (avrebbe dovuto iniziare il 1° settembre, ma il datore avrebbe cambiato idea) e pure la fiducia del figlio, nato da un precedente matrimonio, che - invece di andare a vivere con lei a fine agosto - ha preferito stare con il padre. A questo si aggiungono i numerosi messaggi telefonici con toni offensivi, volgari e minacciosi. Una situazione che ha generato nella vittima ansia e paura.
L'imputato, come detto, nega però tutto. L'avvocato Busetti ha evidenziato come agli atti non vi sia alcun accertamento tecnico che identifichi il titolare dell'utenza con l'imputato e nemmeno prova che abbia violato lui il profilo Facebook della vittima. La difesa ha anche contestato l'accusa di stalking: i messaggi a cui farebbe riferimento la donna risalgono a metà settembre e, dunque, non potrebbero essere messi in relazione con la perdita di lavoro o con il rapporto incrinato con il figlio. Secondo il legale mancherebbero dunque i requisiti oggettivi della condotta persecutoria. Tesi non accolta dal giudice, che ha condannato l'imputato. Ora si dovranno leggere le motivazioni, ma l'appello appare scontato.