Fersina: i pakistani non saranno (per ora) espulsi
AGGIORNAMENTO: Saranno accolti in altri centri circa la metà dei profughi pakistani inseriti nel progetto promosso dal Comune di Trento con base nella struttura provinciale di Via Fersina.
A darne notizia è il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, che sulla vicenda sta mantenendo i contatti con il ministero dell’interno per il tramite del commissariato del Governo.
«Gli approfondimenti richiesti anche in sede di Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza - spiega Fugatti - hanno permesso di fare maggiore chiarezza sullo status di queste persone, ma al tempo stesso di evidenziare anche all’autorità nazionale che lo sforzo di garantire una solidarietà equa e rispettosa delle normative non può ricadere solo sul Trentino. È opportuno inoltre evitare che il fenomeno degli afflussi incontrollati e magari irregolari oltre che estranei agli ordinari percorsi di accoglienza cresca, favorito da un quadro confuso che può indurre a false aspettative a discapito di chi invece ha diritto di ricevere lo status di rifugiato».
Non saranno espulsi, almeno per il momento, i 40 stranieri ospitati temporaneamente nella struttura Fersina di proprietà della Provincia, pur non essendo inseriti nel classico percorso di accoglienza.
L’ospitalità, che scade domani, era prevista da un accordo tra la precedente amministrazione provinciale e il Comune di Trento, il cui rinnovo è stato sospeso dal governatore della Lega Maurizio Fugatti.
La questione è approdata ieri sul tavolo del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, convocato dal prefetto Pasquale Gioffré.
«Al momento non abbiamo confermato lo spazio per questi stranieri. Decideremo il da farsi nei prossimi giorni, naturalmente nel rispetto delle normative» ha riferito il presidente della Provincia al termine dell’incontro al quale hanno preso parte anche il sindaco Alessandro Andreatta e i rappresentanti delle forze dell’ordine. «Aprire le porte in modo incondizionato rischierebbe di avere gravi conseguenze in futuro: sapendo che alla residenza Fersina c’è spazio per tutti, altre persone potrebbero arrivare in Trentino da altre regioni» ha aggiunto Fugatti, che ha evidenziato come i migranti siano in maggioranza di nazionalità pakistana sui quali sono stati avviati accertamenti.
Domani queste persone potrebbero dunque dover lasciare la struttura. Le valutazioni che in queste ore sta facendo la Provincia non sono legate alla decisione della Commissione, che si occupa di valutare i singoli casi. «Stiamo verificando la loro posizione giuridica - ha specificato il presidente -. Il nostro timore è che se accogliamo in questo modo, senza verificare attentamente i requisti dei richiedenti, si alimenti il rischio di arrivi incontrollati e irregolari. Di qui la richiesta agli organismi preposti di fornirci ulteriori informazioni circa lo status delle persone che hanno usufruito del progetto promosso dall’amministrazione comunale. Attendiamo quindi queste verifiche prima di prendere una decisione in merito all’utilizzo della struttura di via Fersina».
Solo una quindicina dei pakistani ha peraltro avviato la procedura di protezione internazionale. «Alcuni hanno presentato la richiesta, mentre per quanto riguarda gli altri casi sono in corso le procedure di accertamento» ha spiegato il prefetto Gioffré, che ha aggiunto: «Al momento dell’eventuale richiesta di protezione scatta l’obbligo di fornire ai migranti assistenza e accoglienza e, in attesa che la Commissione si pronunci, potranno stare qua».
Va detto che il percorso di accertamento da parte della Commissione sulla possibilità di concedere la protezione internazionale ha solitamente una durata di un paio d’anni (con possibilità di fare ricorso nel caso in cui la domanda venga respinta). E i dubbi di Fugatti sulla necessità di accoglienza dei 40 migranti derivano dalla loro nazionalità. «Che loro possano chiedere la protezione internazionale e che a quel punto scatterebbe un obbligo di accoglienza purtroppo è vero, ma il problema lo dobbiamo porre. Dire sì così facilmente rischierebbe di rappresentare un problema in futuro» ha concluso il governatore.
A chiedere il rinnovo dell’ospitalità è il sindaco Andreatta: «L’iniziativa prevedeva che la Provincia mettesse a disposizione la struttura di via Fersina, mentre noi ci occupavamo dei pasti. Una iniziativa che considero di prevenzione, dato che queste persone non saprebbero altrimenti dove mangiare e dormire e non potrebbero comunque essere allontanate, dato che potrebbero presentare la richiesta di accoglienza». Sul caso intervengono i consiglieri provinciali di Pd, Futura 2018 e Upt, che affermano: «Mettere sulla strada 40 persone, al di là degli aspetti umanitari, anche dal punto di vista dell’ordine e della vivibilità generale, è un atto che aumenta e non riduce l’insicurezza sociale».
«DIGNITÀ: NON SIAMO CLANDESTINI»
«Non siamo clandestini: siamo andati in Questura, al Cinformi, sanno chi siamo e sanno che ci siamo. E da mesi aspettiamo solo di avere una sistemazione dignitosa». Tra gli ospiti della Residenza Fersina che da domani saranno definitivamente fuori dalla struttura per volere della Provincia regnano sconforto, spaesamento e paura. Delle 45 persone escluse dal servizio di bassa soglia avviato su input del Comune per far fronte ai ritardi nell’inserimento nel progetto di accoglienza, tutte hanno già sperimentato cosa voglia dire dormire per strada, sotto un ponte o al parco.
«Sono spaventato: nelle notti in cui ho dormito in piazza Dante qualcuno ha cercato di rubarmi le poche cose che avevo», racconta Kamal, 27 anni, pakistano. Con un gruppetto di ospiti staziona ancora nei locali della residenza ma, come gli altri, da martedì non può più usufruire dei pasti e da domani perderà anche l’alloggio. «Ieri mi hanno detto che dovrò rimanere fuori fino alle 22. Ma cosa faccio fino a quell’ora? Resto per strada?», si chiede. Kamal ha impiegato 5 anni per arrivare in Italia: è arrivato dalla «rotta balcanica», compiendo quasi tutto il viaggio a piedi. «In Iran mi hanno fermato per alcuni mesi, e anche in Turchia sono rimasto bloccato per molto tempo». Quando chiediamo cosa lo ha spinto a partire, è Alì, 30 anni, a rispondere per tutti: «Il Pakistan è il problema: la violenza, la mancanza di lavoro, e spesso anche di cibo, di cose elementari. Se hai problemi di salute, anche molto gravi, non è detto che tu riesca a curarti: ospedali, medici, in molte zone del paese sono un lusso per pochissimi». Anche per questo Ali ha deciso, a malincuore, di lasciare la moglie e i due bambini in Pakistan, ed è partito per cercare fortuna: «Anche io ho viaggiato quasi sempre a piedi, in Turchia ho avuto grossi problemi, ero in pericolo: poi sono arrivato in Germania, ma lì sono stato respinto dalla polizia».
Mohammed, 29 anni, racconta: «Ho dormito mesi per strada: sono qui per imparare l’italiano, per lavorare, ma sono fuori da tutto. Come faccio ad andare a scuola se non ho un posto dove dormire?». In Pakistan ha lasciato il suo lavoro da autista di bus, «ma guadagnavo poco e niente, a volte sono stato anche tre giorni senza potermi permettere del cibo. Se tu avessi una famiglia non vorresti il meglio per i tuoi figli, per le persone che ami? Ecco, noi vogliamo questo: una vita migliore, qualcosa che ci permetta di vivere in pace».
Per comprendere la varietà e la delicatezza delle situazioni, basta scambiare poche parole con quello che in città è conosciuto da tutti come «il sindaco», in omaggio al suo prodigarsi per tutti i senza fissa dimora del capoluogo come lui, fino ad arrivare a portare il problema proprio al primo cittadino Alessandro Andreatta. Il suo vero nome è Hayari Houcine, è arrivato pochi mesi fa dalla Tunisia, ma parla perfettamente l’italiano. Come mai? «Da giovane ho studiato qui, ho lavorato a lungo, poi sono tornato nel mio paese ma ora non posso più viverci: sono solo, ho gravi problemi di salute, e non sono più al sicuro. La situazione della Tunisia ora è molto complicata, e io lì non posso più stare. Ho dormito ovunque, ma la mia età e le mie condizioni fisiche non mi permettono una grande resistenza: ho un certificato dove mi sono stati garantiti 100 giorni con un posto letto e pasti caldi, ma da venerdì sarò anche io per strada».