Contabile infedele sottrae 280mila euro all'azienda

di Sergio Damiani

Per la giustizia si tratta di appropriazione indebita. Per l’imprenditore che ha subito il danno è anche un caso di fiducia tradita: la contabile, all’apparenza fidatissima, che per anni aveva seguito con dedizione i conti dell’azienda, faceva la cresta sulle fatture. Non parliamo di spiccioli: l’ormai ex dipendente - licenziata appena si scoprì l’ammanco ai danni di una quotata azienda della provincia del settore vitivinicolo - si sarebbe intascata una cifra non lontana dai 300 mila euro.

La vicenda ha avuto ovviamente ripercussioni giudiziarie: sul fronte del lavoro, sul fronte civile per la restituzione del «tesoro» sottratto e infine anche sul fronte penale in seguito alla querela presentata dal datore di lavoro. Il contenzioso si è concluso in modo sempre favorevole all’azienda.

L’ultimo capitolo giudiziario risale ai giorni scorsi quando la donna, difesa dall’avvocato Andrea Stefenelli, ha patteggiato un anno e sei mesi di reclusione davanti al giudice Maria Giovanna Salsi. L’imputata ha ottenuto il beneficio della sospensione condizionale della pena. In pratica dopo aver fatto razzia di denaro dalle casse aziendali l’ex dipendente infedele, sino ad ora incensurata, non rischia di andare in carcere  (sempre che ora righi dritto).
La donna dovrebbe  risarcire al suo ex datore di lavoro circa 380 mila euro: 280mila euro di danni patrimoniali relativi al denaro sottratto, più circa 100.000 euro per danno di immagine, più danno emergente ed altre voci.

Ma la sentenza che ha chiuso il contenzioso civile tra le parti rischia di rimanere sulla carta perché non sarà facile per l’imprenditore, difeso dall’avvocato Nicola Degaudenz, scovare il denaro sottratto all’azienda. Denaro che pare essere svanito nel nulla.

Come è stato possibile scavare, impunita per così tanto tempo, una voragine nei conti dell’azienda (per fortuna finanziariamente molto solida)? La dipendente è stata scaltra nell’approfittare della fiducia e dell’autonomia concessale dal datore di lavoro: la contabilità e le fatture passavano dal suo tavolo. La donna ha lavorato per l’azienda vinicola per molti anni. Gli ammanchi contestati vanno dal 2011 al 2017: sei anni in cui la contabile è riuscita, senza farsi scoprire, a deviare alcuni pagamenti sul suo conto corrente bancario, senza che ciò figurasse nella contabilità.

Pare che tutto sia cominciato quasi per caso. Una fattura era rimasta inevasa e il creditore non ne aveva chiesto il pagamento. L’impiegata il pagamento lo fece, ma a sé stessa. Non accadde nulla. Soldi facili - ma illegali - forse alimentarono gli appetiti. Di certo sappiamo che per anni la donna sarebbe riuscita a deviare un notevole flusso di denaro verso le sue tasche. Secondo l’accusa avrebbe falsificato decine di fatture di ignari fornitori. Per evitare di essere scoperta la contabile alterava anche i dati del conto corrente online in modo da mascherare i pagamenti deviati verso il suo conto.

Quasi per caso nacque l’appropriazione indebita, andata poi avanti per anni; quasi per caso è stata scoperta. Durante un periodo di vacanza la contabilità passò nelle mani di un’altra dipendente. Questa intercettò i bonifici verso il conto corrente della collega. All’inizio si pensò ad un errore, ma quando, lentamente, emerse un vero e proprio flusso illegale di denaro verso il conto della contabile, il castello di carte precipitò. Quella che fino ad allora era stata una delle dipendenti più fidate dell’azienda, fu  licenziata in tronco. Provvedimento poi confermato anche dai giudici. Il processo penale l’imputata ha preferito invece evitarlo, scegliendo una strada tutto sommato indolore: il patteggiamento. Un anno e sei mesi a pena sospesa per aver intascato quasi 300 mila euro non è certo un cattivo «affare».

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