Reperti bellici: il rischio si nasconde tra le rocce
Sono stati fatti conoscere al grande pubblico grazie a un film di Ermanno Olmi, mezzo secolo fa. Sono i recuperanti.
La pellicola omonima del 1969 portava la firma, per la sceneggiatura, di Tullio Kezich e Mario Rigoni Stern ed era ambientata sull’Altopiano di Asiago. Narra la vicenda di un giovane tornato dalla Seconda guerra mondiale che, per sposarsi, decide di seguire un vecchio recuperante di reperti bellici della Grande guerra, salvo capire la pericolosità del «mestiere», rinunciarvi, e per amore adattarsi a fare il manovale.
Il rischio di imbattersi in ordigni inesplosi anche a distanza di decenni, o di un secolo, è concreta. Lo hanno sperimentato sulla loro pelle i due giovani spagnoli (23 e 21 anni) che lunedì hanno perso due dita e hanno riportato ferite a mani e volto raccogliendo una munizione della Prima guerra mondiale sul ghiacciaio della Presena, a 3000 metri di quota.
Felice Longhi è dipendente della Sgs, controllata del Comune di Vermiglio, che gestisce mulini comunali, piste da fondo, ma anche il Museo della Guerra Bianca di Vermiglio e di Forte Strino (dodicimila visitatori l’anno), di cui è curatore: «I due ragazzi spagnoli – spiega – sono due atleti di trial, in valle per delle gare. Si sono imbattuti nel reperto per un caso fortuito. Non sono recuperanti. Ma si sono spinti, una volta arrivati in cima, su un versante davvero inaccessibile ed estremo, pur solo con le scarpe da running, non attrezzati».
Una zona non frequentata, che ha restituito questi reperti risultati purtroppo ancora carichi di insidie. «Un piccolo deposito di reperti tra i detriti», aggiunge Longhi. «In questi casi c’è solo una regola di buon senso. Non avvicinarsi e non toccare i reperti. Possono essere rimasti inesplosi per lungo tempo. Vanno subito avvisate le autorità e le forze dell’ordine. È proprietà dello Stato. C’è una legislazione che regolamenta questi ritrovamenti e garantisce sicurezza». Esiste però un fiorente mercato di reperti bellici: «Le collezioni più belle non sono certo nei musei, ma nelle case dei privati», racconta Longhi. Tutta la linea del fronte della Prima guerra mondiale offre questi reperti, soprattutto con il ritiro dei ghiacci e delle nevi perenni, e i conseguenti rischi. Tra Adamello e Ortles-Cevedale, questi «giacimenti» sono più generosi. «Ma ormai è difficile trovare reperti interessanti», chiude Longhi.
Sono già passate tre generazioni di recuperanti: chi rivendeva il metallo recuperato, per integrare il reddito; i collezionisti di oggetti di vita privata e intima (pipe, calamai, diari appartenuti ai soldati); i recuperanti 2.0 di oggi. Chi sono? «Feticisti che si prendono troppi rischi ad alte quote e che a volte non disdegnano qualche furto, come anche a Forte Strino». Ma cosa si trova ancora sulle montagne della Grande Guerra? «Soprattutto pezzettini di filtri di maschere antigas, bossoli innocui, coperchi di scatolette, qualche scheggia metallica, delle dimensioni di un manico di coltello. Nulla di valore. E di ordigni come quelli raccolti imprudentemente dai due ragazzi spagnoli in Presena sono pieni i magazzini. Nella prima guerra mondiale si usavano già armi prodotte in serie. Ne abbiamo di nuove mai uscite dalle fabbriche».