Un inverno sempre più caldo 3 gradi sopra la media e la neve sopra i duemila
Non servirebbero i numeri perché tutti ce ne siamo resi conto. Basta guardare il termometro dell’auto o pensare al fatto che ormai sciarpe e cappelli li lasciamo sistematicamente a casa per poter dire che... fa caldo. E forse non sarebbe nemmeno una notizia, ma considerato che siamo a metà febbraio, in pieno inverno, una notizia lo diventa. E a questo punto i dati servono per dare scientificità alle sensazioni. Partiamo dall’attualità: la temperatura media mensile di gennaio 2020 è stata di 4,3 gradi ed è risultata superiore alla media di ben 3 gradi. Solo nel 2007 e nel 1974 si sono misurate temperature medie superiori. E febbraio? «Il mese non è terminato, ma ragionevolmente possiamo dire che i dati saranno analoghi a gennaio», spiega il direttore di Meteotrentino Alberto Trenti. E guardando le previsioni sul sito si legge un +17 gradi di massima previsti per domenica e lunedì, con minime sopra lo zero. Insomma, la tendenza pare essere quella di temperature in costante crescita. Anche se, come sottolinea Trenti, tutto può cambiare molto rapidamente. Tornando ai dati di gennaio, la massima è stata registra il 5 gennaio con 13,7 (ben al di sopra degli 11 gradi del valore medio). Le temperature molto più calde della media non si registrano solo a Trento, ma anche nelle stazioni meteo in quota, da Castello Tesino a Lavarone, da Tione a Predazzo.
Un’eccezione? Un paio di mesi anomali? No, si tratta solamente di una tendenza che continua nel tempo. Facendo un salto indietro al 2019, i dodici mesi appena trascorsi sono stati nettamente più caldi della media, con località che hanno registrato tra i valori più elevati nell’ultimo secolo: a Levico è risultato l’anno più caldo in assoluto dal 1930, a Trento Laste e al Careser è stato il secondo anno più caldo rispettivamente dal 1920 e dal 1930. Per dire tutto in una sola frase, il 2019 in Trentino è stato più caldo di quasi 2 gradi rispetto alla media del periodo 1961-1990.
Passando al confronto tra inverni (si intende il periodo tra dicembre e febbraio), quello tra il 2018 e il 2019 ha registrato oltre il 30% in meno di neve rispetto alla media. A compensare, e a salvare i dati annuali, sono state le nevicate anomale, ovvero quelle tra aprile e maggio 2019, in pienissima primavera, e quella a fine autunno, ovvero a novembre 2019. In particolare la primavera scorsa è stata la più nevosa negli ultimi 50 anni.
«Pur in una fase storica di riscaldamento globale - analizza Trenti - entrano delle perturbazioni che rappresentano dei segnali in controtendenza. Anche se fa caldo non vuol dire che la neve non arrivi. Insomma, la natura ci stupisce. Le temperature medie annuali sono in costante aumento, ma all’interno di questo fenomeno registriamo delle nevicate importanti. Anche perché non va dimenticato che le temperature non dicono nulla sui fenomeni nevosi».
Come quest’anno: l’abbondante nevicata di novembre ha salvato la stagione e praticamente tutte le località sciistiche trentine stanno “vivendo di rendita” grazie a quelle precipitazioni. Detto questo ci sono anche altri dati, scientifici e oggettivi, che danno lo spunto per qualche riflessione. Nelle zone di fondovalle la nevosità si è ridotta di oltre il 30% negli ultimi 30 anni. E in quota, usando come parametro i dati di Passo Valles, la stazione meteo a oltre 2.000 metri sopra Predazzo, tra Trentino e Veneto, possiamo dire che la nevosità è calata del 15%. In montagna, quindi, gli effetti del riscaldamento si sentono meno, ma è altrettanto vero che la quota media delle nevicate si è spostata in pochi anni da quota 1.000 a quota 1.500 metri. L’innevamento sotto i 1.500 metri è quindi sempre meno garantito.
È evidente come tutti questi dati, ribadiamo oggettivi e scientifici, possono (dovrebbero) essere uno spunto di riflessione anche e soprattutto per chi si occupa di due settori fondamentali per il Trentino come turismo e agricoltura. Ogni posizione è legittima, a partire dall’indifferenza, così come questi numeri non sono sinonimo di “basta con lo sci, smantelliamo tutti gli impianti di risalita”. Ma è altrettanto evidente che dei ragionamenti siano necessari.
Nella foto: il "Centro del fondo" in Val Campelle, a 1300 metri di quota, costato 870 mila euro per "rilanciare la zona". I lavori in arrivo qui prevedono il prolungamento dell’attuale anello, portandolo da 1.5 a 3 km. Sarà prolungato l’impianto di illuminazione notturna, che verrà messo in funzione all’occorrenza, e sul tratto di un chilometro corrispondente all’anello piccolo, è previsto l’impianto di innevamento artificiale. La parte più corposa in termini di costi riguarda la realizzazione della nuova palazzina servizi: sarà composta da un seminterrato con magazzino comunale, autorimessa per il gatto delle nevi mentre sopra troveranno spazio spogliatoi, servizi ed alcune sale.