L'astrofisico Battiston: "Isolare tutti i positivi per uscirne in fretta"
«Si possono condividere storie personali in questi giorni di isolamento domestico, io da casa preferisco però un ragionamento sul da farsi per uscire da questa emergenza nei tempi più rapidi possibili».
Ha le idee chiare, Roberto Battiston, professore di fisica sperimentale all’Università di Trento, e già presidente
dell’Agenzia spaziale italiana. Dal noto studioso arriva un appello alle autorità, ai vari livelli, affinché si prepari con cura la «fase quattro» dell’epidemia, quella che dovrebbe progressivamente riportarci fuori dal tunnel.
«Ma se vogliamo risolverla in due-tre settimane c’è un’unica strategia da seguire: bisogna aumentare l’attenzione per individuare le persone positive e isolarle dalle altre. Si può fare sia lavorando nell’organizzazione degli ospedali, dove peraltro si sta facendo un lavoro straordinario in prima linea, sia coinvolgendo altre strutture intermedie dove ricoverare le persone contagiose, evitando così che possano involontariamente trasmettere il virus. Ricordiamo che anche quando la flessione dei casi rilevati sarà significativa, il rischio di nuovi contagi persisterà».
Concretamente lei che cosa ritiene si debba fare?
«In Cina hanno gestito questa fase chiamando in causa la logistica e un esercito di addetti che passava casa per casa, nella regione colpita. L’obiettivo è tenere separate le persone contagiose, in modo da minimizzare i rischi di contatti. In Italia possiamo appoggiarci alla rete dei medici di base, alla Croce rossa e altre organizzazioni che possono contribuire efficacemente a isolare i contagiati dagli altri».
Separare per soffocare l’epidemia portando al di sotto di uno il valore noto come «erre con zero», che indica la media di quante persone un soggetto infetto può contagiare in una condizione data. Ma separare significa anche non poter stare a casa, se non si abita da soli.
«Certo, vanno tutelati i familiari e la catena dei loro eventuali contatti. Bisogna affrontare una prova dura, per un periodo limitato, per evitare di trascinare questa situazione troppo tempo, sei mesi o più. Con un intervento radicale ora è possibile uscirne in tempi relativamente rapidi. Ce lo dicono i modelli epidemiologici, bisogna dare ascolto agli esperti che li elaborano e prevedono con certezza l’andamento dei contagi. Ma il tempo è una variabile fondamentale: se all’inizio c’è stata una certa lentezza nelle reazioni, ora bisogna accelerare. Purtroppo non abbiamo fatto tesoro subito di quanto ci mostrava l’esperienza cinese, che viaggia con un paio di mesi di anticipo rispetto all’Italia e all’Europa. Ci siamo trovati a rincorrere il virus quando già avevamo qui i primi focolai e i primi decessi. Ma la gente continuava a muoversi e poi tutto è precipitato velocemente, prima delle opportune misure restrittive oggi in vigore».
Quindi, nel momento in cui la dinamica dell’epidemia decresce, bisogna concentrarsi ulteriormente sull’isolamento dei soggetti positivi?
«Perciò servono un forte lavoro diagnostico e luoghi di ospitalità in cui le persone infette, sintomatiche o non, possano essere accolte per un paio di settimane, evitando così di contagiare individui sani. Abbiamo anche in Trentino spazi inutilizzati, per esempio, negli alberghi e nelle scuole, in questo periodo.
La flessione della crescita del contagio da noi è meno marcata rispetto a quella cinese a parità di tempo, perché loro potevano permettersi di fermare completamente una zona con sessanta milioni di abitanti, mentre il resto del gigantesco Paese continuava a produrre. In Italia ovviamente non potevamo bloccare tutto, devono funzionare le filiere dei beni e servizi essenziali. Questo complica le cose, ma con una severa politica di isolamento siamo in grado di spingere sotto l’uno il valore dei contagi per malato».
Anche utilizzando tencologia di tracciamento individuale che spaventano alcuni per la questione privacy?
«La tutela dei dati personali è cosa di altissimo valore; tranne che al cimitero. Stiamo combattendo una guerra e le leggi non sono le stesse dei periodi normali. Certo, poi, non dovremo dimenticarci di tornare alle condizioni ordinarie. Ma adesso pensiamo a risolvere l’emergenza, a non vanificare gli sforzi enormi che i cittadini stanno facendo in queste settimane, a non rischiare di ritrovarci stremati fra sei mesi ancora minacciati dall’epidemia.
In Cina, all’inizio della prima fase, quando ancora non avevano compreso la gravità del quadro, un contagiato infettava in media quattro persone. Non scordiamoci che hanno avuto la sfortuna di affrontare l’emergenza in un periodo di grandi spostamenti, con milioni di persone in viaggio per il capodanno cinese. Grazie alla fase di severo Lockdown sono scesi a un valore di contagio pari a 1,3, ancora insufficiente a estinguere l’epidemia. Solo nella fase quattro, separando tutte le persone contagiate, hanno raggiunto lo 0,3 bloccando il diffondersi del virus. Questa è la strada anche per noi».