Insegnare a distanza? Va bene «Ma la tecnologia non basta» I consigli dell'esperto Ruffoni

di Zenone Sovilla

Strumenti cooperativi, creativi, partecipativi per vivere la scuola a distanza come un’esperienza di comunità e di crescita personale, accanto agli aspetti strettamente didattici. Matteo Ruffoni, esperto di informatica e insegnante di scienze alle medie in valle di Ledro, ci invita a estendere l’orizzonte quando pensiamo all’insegnamento a distanza e in generale all’utilizzo delle tecnologie per offrire agli studenti un percorso più ricco e costruttivo.

«Utilizzavo normalmente questi strumenti con i miei studenti, per i compiti, adottando il metodo “flipped classroom”, che consente di accentuare l’interattività e di migliorare acquisizione e trasmissione di conoscenze, creando un ambiente sociale che grazie ai dispositivi digitali si situa dentro e fuori le mura scolastiche. Nel mio sito Mattruffoni.it si trovano esempi concreti di questo approccio, comprese esperienze di coding online grazie a tool come Scratch (scratch.mit.edu), adatto dagli otto anni in su, per programmare storie interattive, giochi e animazioni, in un contesto di condivisione. Un progetto del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology, messo liberamente a disposizione di tutti e disponibile in oltre quaranta lingue».

L’accesso agli strumenti digitali e la partecipazione al loro sviluppo è un aspetto fondamentale sul quale insiste Ruffoni, che da pochi mesi è anche il presidente dell’associazione di promozione sociale Wikimedia Italia per la diffusione della conoscenza libera (network internazionale che sostiene vari progetti Web, come l’enciclopedia collaborativa Wikipedia). Il sodalizio si occupa anche di OpenStreetMap Italia, il braccio nazionale della rete globale che si occupa di cartografia online, in chiave comunitaria, alternativa al dominio di Google e altre major che si stanno arricchendo con la quarantena: ricordiamo che gratis non è sinonimo di libero.

Lo stesso Ruffoni è anche un attivista del software libero open source e dunque promuove la diffusione del sistema operativo Gnu/Linux, valida alternativa ai programmi proprietari basasti dei mondi Microsoft e Apple.

«Anche per la scuola - spiega - sono disponibili molti strumenti liberi di alta qualità che consentono di migliorare l’esperienza didattica, il che significa che non si deve necessariamente alimentare il circuito delle multinazionali del Web. Se spesso a scuola, per gestire insegnamento e materiali didattici online si usa Google Classroom, io ho scelto invece Moodle, un ambiente informatico distribuito secondo la licenza libera Gpl, dunque con la possibilità anche di modificarne il codice per personalizzarlo all’utilizzo specifico o per implementare nuove funzioni da condividere».

Veniamo all’esperienza di queste settimane di teledidattica obbligata: com’è andata?

«Considerato che per noi era già una prassi collaudata, la differenza principale è stata l’aver riunito tre prime medie. Per matematica e scienze collaboro col la collega Angela Gilardoni, io faccio tre ore di lezione a settimana, inoltre abbiammo lanciato una rubrica (“Chiedilo al dottore”) che dura circa di mezz’ora, grazie al medico in pensione Alessandro Salvaterra di Riva del Garda. Nel programma di scienze c’era già lo studio di cellule e batteri, date le circostanze abbiamo aggiunto i virus.
Abbiamo parlato anche di benessere fisico, alimentazione, sonno, questioni importanti durante il confinamento domestico. Hanno contribuito ad arricchire il menù e ravvivare le giornate dei ragazzi vari colleghi come Michael Broemsen (educazione fisica), Marzia Garzetti e Beatrice Rapaccini, che hanno contribuito a costruire lezione in gruppi usando unhangout, con esperienze anche di scrittura collaborativa su Vikidia».

In che cosa consiste Vikidia?

«È un’enciclopedia online interattiva: bambini e ragazzi fino ai 13 anni possono essere sia lettori sia contributori. In queste settimane, per esempio, con le nostre classi abbiamo sviluppato nuove voci, come quella sui batteri. In questo periodo grazie all’impegno dei docenti, ai suggerimenti di molti amici esperti e al supporto tecnico di Antonio Miale, siamo riusciti a gestire un sistema efficace di videoconferenze e di interazioni online. Si è evitato così l’errore di riprodurre in digitale la semplice lezione in classe».

Le potenzialità tecnologiche consentono dunque molto altro?

«Certo, il bimbo cammina in un orto pieno di verdure e frutta: noi tutor non siamo la fonte unica del sapere ma stimoliamo la curiosità e l’apprendimento in una dimensione cooperativa e pluriforme. Educare gli studenti alla collaborazione è fondamentale: tutte le sfide del sapere umano hanno a che fare con questa dinamica, anche la ricerca per sconfiggere il covid-19».

Ma lei come immagina questa visione nello scenario probabile di una ripresa «parziale» a settembre?

«Se davvero avessimo a turno solo metà classe in aula, dovremmo elaborare un metodo funzionale, lavorando per gruppi, diversificando il lavoro fra chi è a casa e chi in classe, non con la pretesa di avanzare tutti insieme millimetro per millimetro. L’importante è ritrovarsi allineati a fine settimana sulle conoscenze principali acquisite. Insomma, la lezione come spazio di apprendimento anche asincrono. Per esempio, i bambini a casa ricevono in un post o in un sito ad hoc, l’argomento da studiare, accompagnato da riferimenti bibliografici, brevi video dell’insegnante, qualche pagina web per approfondire. Studia si fa un bagaglio, comincia una serie di esercizi “allenanti”, per poi rientrare in classe e così via. Ma l’esperienza va costruita mediante gruppi cooperativi: i bambini si costruiscono il sapere e nel contempo imparano a difendersi dalle degenerazioni della rete, come le fake news. Mi pare che fra i colleghi stia crescendo la consapevolezza su questo snodo centrale».

comments powered by Disqus