Mettono ko l’ascensore Il conto (salato) lo pagano mamma, papà ed erede
Un gioco consueto, seppure stupido, è costato caro ad un ragazzo di 17 anni e ai suoi genitori. Il conto finale, come detto salato, sfiora infatti i 4.500 euro. E tutto per un divertimento tra compagni di scuola finito a piccoli spintoni che, ahimè, hanno prodotto danni. Non certo fisici, stanno tutti bene, ma materiali sì.
Tutto si è consumato all’interno dell’ascensore dell’Urban City di corso Rosmini. Il giovanotto, che con alcuni amici era andato al centro commerciale, ha cominciato a prendersi a scherzose parole con gli altri. Come accade spesso, si è passati dai commenti più o meno ironici alle spintarelle. Un gioco, come detto, e nulla più. Peccato, però, che uno dei ragazzi sia finito contro la porta a vetri dell’ascensore danneggiandola. Non una lesione macroscopica, ci mancherebbe, ma crepe sufficienti per far uscire la cabina dall’asse e chiedere l’intervento della società di manutenzione dell’Urban City.
Il tecnico, dopo aver verificato l’impossibilità di una riparazione dell’anta, ha provveduto alla sostituzione integrale di entrambe le lastre di vetro della cabina oltre ai meccanismi di sospensione ed ai pattini di scorrimento per un costo di 2.500 euro.
L’amministratore dello shopping center, ovviamente, ha chiesto ristoro dei danni al padre del giovanotto spintonatore che si è rifiutato di pagare. Anche il tentativo di trovare una soluzione in via bonaria mediante la procedura di negoziazione assistita non ha sortito alcun risultato e quindi l’Urban City ha trascinato l’intera famiglia - papà, mamma e figlio - davanti al giudice di pace.
I genitori, in udienza, hanno negato che possa esserci una loro responsabilità genitoriale per il fatto commesso dal figlio che aveva 17 anni e 6 mesi e quindi, a detta loro, di età sufficiente per avere la piena consapevolezza delle proprie azioni e delle conseguenze derivanti dalle stesse. In aula hanno infatti spiegato come il ragazzo fosse già «emancipato» e quindi responsabile della propria condotta. Non solo, hanno pure ricordato al giudice che, vista l’età quasi maggiore del giovane, non lo potevano più sottoporre a un costante controllo. E hanno ovviamente contestato qualsiasi responsabilità del figlio minore in quanto l’evento dannoso non sarebbe avvenuto per colpa dello stesso ma per mero fatto accidentale.
La difesa ha anche giocato sulla possibilità, tutt’altro che remota, che la porta in vetro si potesse rompere semplicemente urtandola con un carrello della spesa e dunque si tratterebbe di incidente da non risarcire.
Per il giudice Paola Facchini, «del danno dovranno rispondere in solido i genitori e il minore stesso. Il codice civile infatti pone a carico dei genitori una presunzione di responsabilità per il fatto illecito commesso dai figli con essi conviventi. Tale presunzione di colpa viene individuata nella violazione dei doveri di educazione o vigilanza prescritti dall’art. 147 del codice civile, che può ricavarsi dalle modalità con cui si verifica il fatto illecito.
Esse, infatti, possono rivelare il grado di maturità e di educazione del ragazzo, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori. Per liberarsi da tale presunzione di responsabilità, i genitori devono dimostrare di non aver potuto impedire il fatto, cioè di aver impartito al minore un’educazione adeguata e di aver esercitato su di essi una vigilanza adeguata all’età. Nel caso di specie padre e madre, pur affermando di aver impartito al proprio figlio un’ educazione adeguata, non hanno fornito alcuna prova al riguardo».
Per quanto riguarda la condanna del ragazzo, poi, in sentenza si sottolinea come «il minore, considerata l’età (17 anni e sei mesi), pur non potendosi affermare emancipato in assenza dei presupposti previsti dalla legge, debba considerarsi comunque capace di intendere e di volere e quindi di comprendere il disvalore delle conseguenze dannose derivanti dalla propria condotta irruenta. L’età prossima ai diciotto anni, la maggiore autonomia di movimento e di scelta della proprie azioni fanno presumere, in mancanza di prova contraria, un grado di maturità tale da poter avere discernimento sufficiente per poter prevedere le conseguenze nocive del proprio comportamento violento».
Insomma, quel gioco da ragazzi, alla fine, è costato 2.500 euro di danni materiali all’ascensore dell’Urban City e 1.700 di spese legali sostenute dal centro commerciale. Più, ovviamente, il conto del proprio avvocato.