Il mondo della montagna piange Giuliano Stenghel «Oltre la vetta, un uomo magico»
Incredulità. Alla notizia della morte di Giuliano Stenghel, precipitato durante un'arrampicata all'isola Tavolara, in Sardegna, nessuno voleva accettare la realtà della fredda cronaca. «Era una persona di grande fede e grandi ideali - lo ricorda l’amico alpinista Alessandro Gogna - ha dovuto affrontare tragedie come morte della moglie, ma ne è sempre uscito con un ottimismo di fondo, con la fiducia nel divino. Gli volevo molto bene, e questo che è accaduto va al di là dell’incidente alpinistico.
Giuliano viaggiava su pensieri e meditazioni rare. Aveva una vita molto piena. Insieme avevamo scritto “Il regno di pietra” proprio dedicato all’Isola di Tavolara, dove avevamo arrampicato insieme».
Anche Franco Nicolini guida alpina al rifugio Pedrotti alla Tosa, che gestisce con la famiglia, è affranto. Giuliano Stenghel, con la sua scalate ha scritto belle pagine che appartengono alla storia dell’alpinismo del Brenta. «Non ho parole - dice Nicolini - sono distrutto dal dolore e la mia mente è confusa, è incredibile. Ho perso con Giuliano un caro e grande amico, anzi un fratello.
Avevamo ripreso da alcuni anni ad arrampicare assieme, ritrovando il piacere delle pareti e l’entusiasmo di quando eravamo “boci”. In gioventù abbiamo fatto molte scalate impegnative e molte volte Giuliano mi ha salvato la vita». Prosegue: «Era un uomo buono e sincero, aveva un grande rispetto verso il prossimo e trasmetteva amore. Quell’amore che gli ha permesso, facendo del bene, di superare il grande dolore della perdita delle sua prima moglie Serenella».
«È un colpo durissimo» ammette Maurizio Giordani alpinista di Rovereto, guida alpina e accademico del Cai. E riprende: «In questi momenti si fa fatica e non ci sono parole. Giuliano se ne è andato nel suo mondo: l’incidente gli è capitato su di una montagna che amava, dove ho avuto la fortuna di aver scalato con lui. Ho così tanti ricordi di lui ed è con lui che ho iniziato il mio alpinismo. Ci eravamo trovati qualche tempo fa a scalare proprio a Tavolara, la montagna che più amava.
Era una persona esperta, molto sicura, ma purtroppo è accaduto. Lo ricorderò come un grande, che trasmetteva entusiasmo verso la vita».
Luciano Ferrari presidente della Sosat, che nel 2011 gli conferì il Chiodo d’Oro e direttore della Scuola Graffer, è molto provato: «Giuliano - ricorda - era un uomo capace di riempire la vita, con la sua carica umana e con la voglia di fare del bene. Era fortissimo nello scalare, ma era un uomo meraviglioso, direi magico. Aveva l’entusiasmo di un ragazzino e ti contagiava sia nello scalare che nelle opere di solidarietà. Grazie a lui ho scoperto proprio le pareti dell’isola di Tavolara, e serbo nel cuore il ricordo di un uomo che ha saputo sensibilizzare il mondo della montagna verso la realtà dei più poveri. La Sosat proprio per queste sue caratteristiche umane oltre che alpinistiche gli aveva assegnato nel 2011 il Chiodo d’Oro».
Anche Jalla Detassis, figlia del grande Bruno, il re del Brenta, che aveva con Giuliano un rapporto di amicizia fraterna, vole ricordare Giuliano: «Lui veniva a casa e con papà avevano un bella intesa. Tra loro il rapporto era di stima, fiducia. Si capivano con uno sguardo non avevano bisogno di parole. Con Bruno, Giuliano scalò il Campanile Alto che papà aveva 74 anni ed il Campanil Basso quando Bruno ne aveva 80».
«Siamo davvero addolorati - dice Bruno Spagnolli, presidente della Sat di Rovereto - è una grandissima perdita alpinistica, umana e sociale. Ci coinvolgeva nelle sue iniziative quando organizzava le serate alla Filarmonica di raccolta fondi per l’Associazione Serenella. E poi aveva un carattere vulcanico: il primissimo ricordo che ho di lui, ancora quarant’anni fa, è stato quando l’ho visto arrivare al Lancia in inverno, quasi volando sugli sci, e con la musica nello zaino che suonava “Il tuo bacio è come un rock”. Non lo dimenticheremo mai».