Bonus Covid per la sanità la Cgil denuncia: importi sbagliati e poi la richiesta di restituirli
Sindacati sul piede di guerra per il «bonus Covid» ai lavoratori della sanità. Secondo la Cgil, infatti, nel mese di giugno sono stati liquidati importi sbagliati. E a luglio hanno chiesto i soldi «in più» di ritorno.
Dice il comunicato: «Non basta il fatto che molti lavoratori non abbiano ricevuto alcun bonus provinciale Covid. Non basta nemmeno che il bonus sia stato erogato solo a chi ha lavorato a stretto contatto coi contagiati, dimenticando tutto un comparto che ha subito un gravoso aumento di carichi di lavoro. Non basta perché la Provincia e l’Azienda sanitaria, che mai si sono confrontate coi sindacati, hanno anche sbagliato nell’attribuire, a giugno, il premio ad alcuni operatori». Così, con l’ultima busta paga, si sono riprese la cifra.
«Insomma – commentano il segretario generale Fp Cgil Luigi Diaspro e la referente del settore Gianna Colle – l’ennesimo pasticcio. Chissà che, alla luce di tanta confusione, Provincia e Azienda sanitaria non capiscano che è ora di confrontarsi con noi, magari con un pizzico di umiltà. E c’è un’ulteriore tema: per finanziare il bonus Covid, si è attinto dai fondi del rinnovo contrattuale. Poi il contratto è stato rifinanziato ma, con questo passaggio, ecco che la dizione “bonus Covid” scompare dal bilancio provinciale. Vista la qualità delle relazioni coi nostri interlocutori, è bene sottolineare fin d’ora questa anomalia».
«Durante il periodo Covid – spiega Colle – c’è stata una profonda rivoluzione dei processi organizzativi, un aumento del carico di lavoro e di stress fisico-psicologico per ogni operatore coinvolto. Questo vale per le strutture sanitarie e le case di riposo; ai lavoratori della sanità privata e a quelli del terzo settore è andata ancora peggio: non hanno ricevuto assolutamente nulla. C’è stato un forte aumento dei tempi “intra e peri-procedurali”; tutte le procedure urgenti sono state effettuate come Covid positive: ad esempio il paziente con infarto miocardico acuto o con arresto cardiocircolatorio, avendo accesso alla sala di cardiologia interventistica ben prima dell’esito del tampone, portava come conseguenza che gli operatori si dovevano bardare come se il paziente di fatto fosse stato positivo. In Alcuni casi gli operatori, per minimizzare la possibilità di esposizione al virus, o peggio per evitare di utilizzare i già scarsi dispositivi di protezione, hanno scelto di non dare il cambio all’equipe che iniziava l’urgenza: il personale coinvolto restava quindi così vestito per anche 4-5 ore, senza possibilità di uscita dalla sala o di svestirsi, idratarsi o semplicemente soddisfare i bisogni fisiologici. Per alcuni ci sono stati anche dei malori.
Ma a questi operatori non è stato riconosciuto nulla: non hanno assistito pazienti “certificati” Covid positivi.
Chiediamo quindi che la Provincia riveda immediatamente la legge e la delibera, coinvolgendo stavolta i sindacati per ricomprendere tutti i professionisti che sono stati esclusi con la prima tranche e affinché si costruiscano criteri trasparenti sulla destinazione delle risorse, aggiungendone se necessarie e dando inoltre conto dei soldi che il governo ha stanziato per la provincia di Trento».