Bar e ristoranti trentini, mazzata da 40 milioni I primi ristori da Roma non bastano Dramma stagionali: in 7.000 senza soldi
Da Roma sono arrivati i primi ristori per le attività a cui sono stati limitati gli orari per contenere l’epidemia di Coronavirus. Nel caso di bar e ristoranti, le somme accreditate sui conti correnti dall’Agenzia delle Entrate variano dai 6.000 ai 15.000 euro a impresa: ai 3.500 esercizi pubblici trentini potrebbero arrivare complessivamente più di 30 milioni di euro. Ma non bastano. Nonostante la folla che ieri ha riempito il centro e i bar di Trento, quasi fosse l’ultimo giorno prima del lockdown, le perdite di fatturato, che con la chiusura serale già ammontavano a 30-35 milioni, con il calo dei clienti e le nuove restrizioni salgono sopra i 40. Per Confcommercio e Confesercenti il comparto è in ginocchio. «Da Roma e da Trento servono ristori adeguati, soluzioni per gli affitti e il credito, cassa integrazione anche per i lavoratori stagionali e atipici». E proprio tra i 7.000 stagionali si sta consumando un altro dramma: avendo lavorato tra primavera ed estate meno del solito, molti hanno già finito l’indennità di disoccupazione e sono senza soldi.
L’allarme arriva da Fiepet Confesercenti, Associazione Pubblici esercizi e Associazione Ristoratori Confcommercio. «Molti clienti lavorano in modalità smart working ormai da mesi e da lunedì scorso, con l’inizio della didattica a distanza, abbiamo pochissimi studenti. Ci sono dei bar, bistrot e ristoranti che lavorano solo la sera e non dimentichiamo la chiusura totale di sale giochi e simili». Altre restrizioni potrebbero arrivare. «Ci sono alcuni esercizi che hanno chiuso definitivamente» afferma il presidente dei Ristoratori di Confcommercio Marco Fontanari.
«Le perdite che già avevamo calcolato per la chiusura serale stanno aumentando - sostiene Fontanari - A pranzo abbiamo pochi clienti. In molti stiamo valutando la chiusura». Ma i soldi a fondo perduto del decreto Ristori bis stanno arrivando? «Sì, a molti colleghi sono arrivati, vanno in media dai 6.000 ai 15.000 euro ad azienda. Ma c’è un 10% circa di imprese che non hanno ancora ricevuto il primo contributo a fondo perduto, quello di luglio. A livello nazionale abbiamo ottenuto che i due ristori vengano accreditati insieme».
L’impegno del governo è della Provincia non è certo da sottovalutare, dicono gli imprenditori, ma rappresenta in termini reali un’incidenza trascurabile del fatturato annuo, non in grado di sostenere i costi delle imprese. «Inoltre è impensabile in questo periodo chiedere alle attività economiche di essere in regola con i pagamenti contributivi (Durc) e altre dichiarazioni obbligatorie, che in alcuni casi permettono di proseguire con dei servizi dell’ente pubblico - rimarca il presidente della Fiepet Confesercenti Massimiliano Peterlana - Le nostre aziende sono e vogliono continuare ad essere dei posti sicuri. Abbiamo seguito e rispettato fin da subito i protocolli di sicurezza, concordati a suo tempo con governo e Provincia, fatto tutti gli investimenti necessari e di recente ne abbiamo fatti anche altri, come l’acquisto di funghi riscaldanti da poter mettere all’interno dei nostri plateatici, per salvaguardare le nostre attività e la nostra forza lavoro nel periodo autunnale e invernale».
«Siamo assolutamente consapevoli di essere nel mezzo di una pandemia a livello globale e non vogliamo deresponsabilizzarci di fronte ad un valore come quello della salute pubblica - sottolinea la presidente dei Pubblici esercizi di Confcommercio <+nero>Fabia Roman - Ma la soluzione non può essere la chiusura parziale o totale delle attività. Occorre un piano di rilancio serio che garantisca la sopravvivenza delle nostre aziende e assicuri un futuro al Paese».
La situazione ha un impatto pesante sui dipendenti del comparto. Tra gli 8.000 occupati tutto l’anno, stanno lavorando a turno in 5.000. Al Fondo di solidarietà trentino, competente per il settore, è in arrivo una nuova ondata di domande di cassa integrazione Covid. Ma intanto la situazione diventa difficile per i 7.000 stagionali, che dovrebbero riprendere a dicembre, con molte incognite, e che nei mesi in cui non lavorano ricevono l’indennità di disoccupazione Naspi in proporzione a quanto hanno lavorato. Quest’anno in molti casi la Naspi è già finita.
Infine, ma non per importanza, il credito. «Serve un patto con il sistema bancario per la liquidità delle imprese e serve subito - sottolinea Fontanari - Va spalmato il debito contratto nel 2020 in un arco temporale lungo, di almeno 20 anni con un preammortamento di almeno 24 o 36 mesi, che permetta alle imprese di sopravvivere e riuscire a rialzarsi». Molte aziende, inoltre, rischiano di perdere il diritto alla decontribuzione prevista dal decreto Agosto. «Ci auguriamo di sederci a breve al tavolo con la Provincia per ulteriori interventi di sostegno alle aziende» conclude Fontanari.