I parroci trentini sono d'accordo: «Il negazionismo non è da cristiani»
«Ai negazionisti dico provatelo voi! il Covid, non vi auguro di morire - ci mancherebbe! - ma di provarlo per capire i rimasugli che lascia. Io ci sono passato».
Questo è don Piero Rattin ma questa, più in generale, è la Chiesa trentina. Non vendicativa, ovviamente, ma consapevole del momento e d’accordo <+corsivo>in toto<+testo> col suo Pastore, il vescovo Lauro Tisi, convinta perciò di dovere svegliare chi ancora vive nel mondo dei sogni. Il vescovo ha diramato venerdì le indicazioni: le cresime e le prime comunioni vengono sospese, la capienza delle chiese ulteriormente ridotta, sospesa l’attività dei cori (si salvano l’organista e un cantore) e agli anziani si raccomanda di rimanere a casa il più possibile e magari seguire la messa in tivù.
«A quei tali che nella Chiesa, anche trentina, dicono che i credenti devono fidarsi della Provvidenza, ricordo una cosa», riprende vigorosamente don Rattin, rettore del santuario mariano di Montagnaga di Piné: «Ricordo che la gente che va in chiesa poi va al supermercato e al bar e sale su autobus e corriere. Noi abbiamo delle responsabilità nei confronti degli altri». E don Rattin ne è convinto al punto di scriverlo sulla pagina web del santuario: “Il negazionismo non è da cristiani”, il titolo della riflessione. «Aggiungerei che alcuni cattolici non conoscono la Bibbia», insiste, «perché nei libri sapienziali sta scritto “onora il medico per le sue prestazioni”, per non dire di san Paolo che nella lettera ai Romani esorta: “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite”».
C’è dolore nel vedere le chiese vuote, ovvio che c’è, «ma il vescovo ha fatto bene», annuisce don Lino Zatelli, parroco in san Carlo. «Monsignor Tisi non prende le decisioni a cuor leggero: sente i responsabili dell’Azienda sanitaria, valuta attentamente, si confronta. Poi è normale ci sia tristezza: prima della pandemia avevo 450 persone in chiesa per ogni messa e invece da stasera (ieri, ndr) potranno essercene al massimo 84. Mi si stringeva il cuore mentre sigillavo i banchi e calcolavo la distanza di 2 metri da un posto all’altro». Fino a giovedì bastava un metro e in San Carlo ce ne stavano 164, «e nonostante questo c’era tanta gente fuori ad ascoltare. E adesso?». La voce di don Lino s’incrina: «Noi sacerdoti non riusciamo a vivere senza la gente. Non sentire il vocìo prima della messa e dopo la messa, le confidenze e le risate - non voglio silenzio, io, se non durante la celebrazione, perché la messa non è rito ma festa, incontro, cena, infatti - non sentire tutto ciò, insomma, fa soffrire». E di più soffriranno gli anziani, benevolmente invitati a rimanere a casa «dopo che già si sentono dire di non essere una categoria “produttiva”, oltre a dover fare i conti con le fatiche della salute». Meno male che loro, conclude il parroco di San Carlo, «non perdono mai la speranza, e non la perdono perché hanno la forza dell’esperienza e nel corso della vita hanno superato un sacco di ostacoli».
Ci sono molti anziani, comunque, che «apprezzano di sentirsi tutelati», sostiene don Duccio Zeni, parroco a Mattarello, «sono riconoscenti del fatto che ci si preoccupi per loro e si prendano le misure necessarie». Certo, prosegue don Duccio, «dispiace non poter vedere le persone, i volti noti. Ma noi viviamo nel mondo e proviamo le sofferenze di chiunque altro, gli stessi dubbi e le preoccupazioni. E penso questo: in inverno la notte arriva prima, ed è ciò che stiamo vivendo, forse. Gli spazi di luce sono ridotti e il resto è notte, ma prima o poi le giornate torneranno ad allungarsi, oh sì!, e in più noi, come Chiesa, abbiamo il compito di rinnovare la speranza».
E la speranza è che almeno si possa celebrare un Natale normale. «Vedremo», frena don Andrea Decarli, parroco in Duomo e Santa Maria Maggiore, «la situazione cambia da un giorno all’altro ed è inutile fare previsioni. Ma la salute delle persone viene prima di qualsiasi altra cosa. Il vescovo ha agito saggiamente, non si poteva fare altrimenti, anche se questa situazione dispiace a tutti».
Come preti «ci si sente un po’ a mezzo servizio», ammette don Renato Pellegrini, responsabile di nove parrocchie in val di Sole, «ma non ci arrendiamo e troviamo il modo di inventare dei momenti d’incontro con la gente. Io prendo il computer, scrivo riflessioni, preghiere, messaggi e noto che le persone li fanno girare. Molto più di quanto immaginassi! tra l’altro». Negli ultimi tempi la gente si muove poco, racconta don Pellegrini, «ha paura della pandemia e in tanti preferiscono seguire la messa in tivù. Stiamo scoprendo una dimensione nuova: la fede si vede poco nei templi e di più nella vita concreta. Ricordo le parole del vescovo: i veri sacerdoti, oggi, sono i medici, gli infermieri e tutti quei volontari che s’impegnano per gli altri».