Don Saiani: "Dobbiamo tutti riscoprire il senso del limite"
Da ogni difficoltà può nascere un’opportunità, ha detto il vescovo Lauro Tisi pochi giorni fa. Don Saiani, quale opportunità intravede la Chiesa trentina in questi tempi drammatici?
«L’opportunità - per tutti - di riscoprire il senso del limite».
Don Marco Saiani, vicario vescovile, predica umiltà per il 2021. La nostra fragilità, dice, messa in evidenza dalla pandemia, deve spingerci a percorrere strade diverse dalle attuali. Se continuiamo a considerarci esclusivamente dei “consumatori” rischiamo di brutto.
Vero, don Saiani: l’uomo sposta i limiti sempre più in là.
«Ma non possiamo sfruttare l’ambiente all’inverosimile!, e questo è solo un esempio. Non possiamo porci dei traguardi incredibili, come fossimo onnipotenti. La malattia pandemica ci pone dinnazi a domande che di solito non mettiamo a fuoco, sommersi come siamo di cose da fare. Le richiamava Albert Camus nel romanzo La peste».
Il libro narra le vicende di una comunità che negli anni Quaranta del Novecento viene devastata da una pandemia.
«Proprio come oggi».
Infatti.
«Scriveva, Camus, che in una situazione del genere siamo invitati a interrogarci sul destino fragile della condizione umana. Chi siamo? In quale mondo viviamo? Qual è la causa di tutto ciò? Ora, in questo preciso momento, viene naturale chiederselo».
E la Chiesa cosa può fare?
«Può aiutare l’uomo a trovare una risposta».
Lei dice?
«Certo, perché il cuore della proposta cristiana è proprio questo: dare una risposta alle domande “ingombranti” che sentiamo dentro di noi sul senso della vita. Un senso che la morte non può distruggere perché il nòcciolo del messaggio cristiano è Cristo che ha vinto la morte ed è stato vicino alla sofferenza umana».
In questi mesi, più che mai, la nostra società si trova sbattuto in faccia il dolore, la morte.
«Noi cristiani siamo chiamati a riscoprire che in Gesù e nel Vangelo abbiamo una risposta alla domanda sul senso della vita».
Molte persone si sentono sole, smarrite.
«La Chiesa può farsi vicina al prossimo perché porta in sé il messaggio di cui l’uomo ha bisogno quando si scopre fragile».
Il virus accresce le disuguaglianze sociali.
«È uno degli effetti più grossi della pandemia. Nelle parrocchie sono sempre arrivate richieste da parte di persone in difficoltà per situazioni particolari, oppure malate, che hanno bisogno di cibo, e queste persone vengono aiutate con i pacchi viveri. Ma adesso è diverso: molte famiglie non sanno come arrivare alla fine del mese. Noi, come Chiesa, abbiamo attivato dei fondi speciali di solidarietà fin dalla grande crisi del 2007-2008, e a luglio, con l’acuirsi delle difficoltà, abbiamo creato InFondo Speranza, un fondo al quale stanno attingendo famiglie e piccole imprese. Noi, dunque, facciamo la nostra parte ma siamo soltanto uno spicchio della società: altre realtà si stanno dando da fare, dal mondo cooperativistico alle imprese. La cosa migliore, allora, è mettersi in rete affinché il sistema degli aiuti funzioni al meglio».
Il distanziamento fisico può tramutarsi in distanziamento sociale: per scongiurarlo occorre creatività nel mantenere i contatti.
«L’ha detto il vescovo Lauro».
Appunto. Quale creatività sta mettendo in campo la Diocesi?
«Sfruttiamo le opportunità che ci sono, come tutti. Usiamo il computer, e qui i ragazzi, i “nativi digitali”, sono riusciti a creare delle cose particolari: non solo messaggi, dunque, ma anche video, che vengono inviati sulle varie applicazioni, come WhatsApp. Così manteniamo i contatti con le persone sole».
Il problema sono gli anziani: loro, spesso, bisticciano con la tecnologia.
«Gli anziani, tra l’altro, sono la categoria più colpita dalla pandemia».
Hanno consigliato loro di non andare neppure a messa, per non correre rischi. Ma la messa, per molte di queste persone, è il fulcro della settimana.
«È importante capire che l’invito a rimanere a casa è stato pensato per la loro tutela, e gli anziani l’hanno capito. Sono in molti, poi, a non volere rischiare. Così, invece di farli venire in chiesa abbiamo portato la messa nelle case attraverso la televisione. Alcune parrocchie organizzano trasmissioni in streaming permettendo all’anziano di assistere al rito celebrato proprio nella chiesa frequentata abitualmente. Non è semplice ma è il prezzo che dobbiamo pagare per la situazione in cui ci troviamo».
Veniamo ai giovani. I giovani e la Chiesa.
«Discorso ampio e complesso».
Quelli che frequentavano le parrocchie o andavano in chiesa erano già pochi prima della pandemia. Adesso che i gruppi non possono ritrovarsi, non ne parliamo!
«Da anni, soprattutto in Occidente, la Chiesa è in trasformazione. In questo periodo “di passaggio”, tutti si stanno rimotivando. Ma la questione è una soltanto: i giovani s’avvicinano a un discorso di fede solo se incontrano persone credibili».
Non c’è dubbio.
«Il magistrato siciliano Rosario Livatino assassinato ad Agrigento nel 1990 - papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio e quest’anno verrà celebrata la cerimonia di beatificazione - disse un giorno: il Signore mi chiederà se in vita sono stato non solo un credente, ma un uomo credibile».
Il punto è proprio questo.
«Se gli adulti vivono da cristiani abbiamo una garanzia maggiore che la fede venga trasmessa ai giovani. Allora dico una cosa: il problema che dobbiamo porci non è solo di riuscire a recuperare i giovani, ma anche gli adulti. I giovani, glielo assicuro, seguono chi dia testimonianza ogni giorno, con il proprio comportamento, di ciò in cui crede».
Don Saiani, un auspicio per il 2021.
«Vedendo lo sfaldamento del tessuto sociale, la crisi delle istituzioni e l’aumento del male di vivere, l’auspicio è che tutti, nella nostra società, riescano a essere più umili, più semplici. Dobbiamo capire la nostra fragilità per trovare un modo diverso di camminare insieme, incontrandoci sui punti fermi, cioè le domande fondamentali della vita. Abbiamo risorse enormi - la scienza, la tecnica - ma se le adoperiamo per raggiungere traguardi d’interesse rischiamo di farci del male. Dobbiamo modificare la nostra idea di “persona”: non siamo dei “consumatori” ma degli esseri che percorrono un tratto di vita su questa terra e poi lasciano il posto ad altri. Dobbiamo ammettere la nostra finitezza e fragilità e riconoscere che tutto è dono».
Un’ultima domanda.
«D’accordo».
L’abbiamo fatta a tutti quelli che abbiamo intervistato.
«Sentiamo».
Lei si vaccinerà quando arriverà il suo turno?
«Il vaccino è un aiuto per vincere la malattia pandemica e al momento ci dicono che non abbiamo altri strumenti».
Dunque lo farà.
«Sì, quando sarà il mio turno farò anch’io la mia parte».