Emigrazione / Trentini all’estero

Dal Trentino in Danimarca, pensando a nuove sfide: "Chissà dove mi porterà il futuro"

Continua il nostro viaggio tra i nostri giovani che hanno deciso di trasferirsi all’estero per vivere e lavorare. Stavolta vi parliamo di Sofia Simoncelli

LA STORIA/1 Jessica e Nicola, da Londra all'Argentina
LA STORIA/2 Dal Trentino alla Russia
LA STORIA/3 Dalla Cina alla Svezia, con il Trentino nel cuore
LA STORIA/4 Da Rovereto alle Canarie: "Felice"
LA STORIA/5 Il successo in Svizzera

AARHUS (Danimarca). Sofia Simoncelli, è nata a Rovereto e cresciuta a Castione di Brentonico in provincia di Trento. Sua mamma è ungherese. Ben presto ha deciso di girare il mondo e da qualche anno abita in Danimarca. Non ha però mai dimenticato le sue origini e, attraverso Mondo Trentino (marzo 2021), si è raccontata.

Dove vivi attualmente e cosa fai nella vita?

Vivo ad Aarhus, la seconda città più grande della Danimarca. Nella vita sono mamma di due bimbe e al momento in maternità con la seconda. Prima della maternità lavoravo in ufficio come supporto alle vendite/supporto clienti.

Qual è stato il tuo percorso di studi?

Ho fatto una laurea triennale in mediazione linguistica e culturale all'Università di Padova. Il terzo anno ho fatto l’Erasmus a Helsinki, Finlandia. Poi mi sono presa un anno sabbatico, durante il quale ho fatto un tirocinio a Londra con un progetto della Provincia autonoma di Trento e un mese in Australia grazie a progetto “Interscambi giovanili” dell'Ufficio Emigrazione. Ho proseguito poi gli studi all'università di Aarhus. Qui ho frequentato una laurea magistrale in studi europei.

Qual è stato il tuo percorso lavorativo?

Dopo aver finito gli studi non avevo le idee chiare su che tipo di lavoro volessi fare. Qui in Danimarca agli studenti danesi o cittadini dell'Unione Europea che finiscono gli studi spetta un sussidio di disoccupazione, a patto che si cerchi lavoro attivamente. Ho trovato il mio primo lavoro molto velocemente grazie soprattutto alle mie competenze linguistiche (cercavano una persona che parlasse ungherese).

Purtroppo ho presto capito che le vendite non facevano per me e dopo un anno ho lasciato il lavoro. Sono rimasta disoccupata a lungo anche perché ero incinta. Poi dopo la maternità ho ricominciato a cercare lavoro e ho trovato il lavoro che facevo prima della seconda maternità. Si tratta di un’azienda che produce sistemi di refrigerazione ed io faccio parte del team di supporto alle vendite e ai clienti (in particolare in spagnolo, inglese, danese e raramente italiano).

Come hai vissuto l’emergenza legata al Coronavirus e come la stai vivendo ora?

A marzo, quando l'emergenza è arrivata anche qui, è stato molto stressante. Io ero nel primo trimestre di gravidanza, lavorando da casa con una bimba di quasi 3 anni in casa. Fortunatamente mio marito era a casa perché aveva lasciato un lavoro e iniziava l'altro ad aprile. In ogni caso tutta l'incertezza e il fatto che tutti i nostri familiari fossero lontani e chissà come stavano e quando li avremmo visti è pesato molto su di me. La Danimarca in questa prima fase è riuscita a tenere il virus abbastanza sotto controllo, chiudendo tutto ma non vietando alla gente di uscire di casa. Quindi da questo punto di vista ci siamo sempre ritenuti privilegiati in confronto alla situazione italiana o spagnola. Siamo sempre riusciti ad uscire nella natura che soprattutto per i bimbi è stata una salvezza.

In estate siamo riusciti a tornare in Trentino e fare la nostra ultima vacanza fuori dalla Danimarca. Poi però dopo l'estate, la situazione Covid è peggiorata nuovamente ma fortunatamente gli asili nido e le scuole materne sono rimasti aperti.

Che impatto ha avuto su di te questo periodo di emergenza sanitaria durante l’attesa e il parto?

L'impatto maggiore dell'emergenza Covid l'ho notato appunto al principio della gravidanza e dopo il parto. Il primo trimestre porta già con sé problematiche sia fisiche che psichiche (ormoni, nausee, ecc.) e con l'aggiunta del lockdown, lavoro da casa, ansia per le persone lontane che si trovavano in una situazione peggiore di cui sentivamo notizie ogni giorno è stato duro.

Fortunatamente ho avuto una gravidanza fisiologica con pochi controlli come previsto qui in Danimarca ed ho deciso di fare il parto in casa per evitare brutte sorprese (avevo sentito di amiche che hanno dovuto partorire sole senza il partner, regole che cambiavano in continuazione, ecc.). In questo modo l'unico dettaglio che mi ha ricordato che fuori ci fosse un'epidemia era la mascherina indossata dall’ostetrica.

Il Covid si è fatto però risentire nel post parto. La maternità senza poter avere visite o incontrare gente è veramente pesante. Siamo riusciti ad avere la visita della nonna paterna e materna dopo 2-3 mesi dalla nascita con i dovuti tamponi, quarantene, ecc. Ma da Natale fino a fine febbraio la Danimarca è stata di nuovo in lockdown quasi completo. Speriamo ora la situazione migliori presto. Al momento siamo in parziale riapertura.

Ci puoi raccontare della tua famiglia all’estero e degli hobby che coltivi?

Ho conosciuto mio marito ai tempi dell’Erasmus e abbiamo deciso di continuare i nostri percorsi universitari all'estero. Abbiamo scelto il nord Europa per la possibilità di studiare in inglese e gratuitamente come cittadini dell’Unione Europea. Dopo gli studi avendo trovato lavoro ci siamo fermati, ci siamo sposati e nel 2017 è nata nostra figlia Giulia, seguita nel 2020 da Naiara.

Prima di avere figlie ho giocato a calcio sia in Italia che qui, ho provato un paio di squadre ma non sono mai riuscita a trovarne una dove mi sentissi completamente a mio agio per via della lingua che in quel momento non parlavo. Poi quando Giulia era piccola ho provato anche il quidditch, sport molto divertente. Inoltre cantavo nel coro internazionale della chiesa cattolica qui ad Aarhus e poi in un coro internazionale. Spero di riprendere almeno una di queste attività quando le bimbe saranno più grandi.

Cosa ti ha portato a lasciare il Trentino e più in generale l’Italia per andare all’estero?

Sono sempre stata una persona a cui piace viaggiare e curiosa di come si vive in altri paesi, culture, lingue... Infatti ho sempre approfittato delle occasioni che si presentavano nel mio percorso scolastico (scambio culturale alle superiori, interscambi giovanili della provincia di Trento, Erasmus,...).

Però il trasferimento per così dire più definitivo è stato dovuto anche al fattore amore. Dopo l’Erasmus avevo in mente di continuare a studiare all’estero perchè mi ero trovata bene in Finlandia e così mio marito ed io abbiamo potuto ritrovarci in un posto comune. Una volta finiti gli studi abbiamo approfittato del mercato del lavoro danese più favorevole in quel momento, anche grazie al sussidio di disoccupazione che ci ha permesso di trovare un lavoro in linea con gli studi.

Quali sono le tue sensazioni rispetto al fatto di vivere lontana dal tuo luogo di origine? C’è qualcosa che ti manca dell’Italia?

Dopo più di 7 anni che vivo ad Aarhus devo dire che sento ancora molto forte un legame con il mio luogo d’origine, familiari e parenti, un po’ meno con gli amici purtroppo perché ognuno ha, diciamo, seguito la sua strada. Mi mancano molto le montagne e la natura e soprattutto le tradizioni e la cultura più “aperta”. Nonostante ami il freddo, sto soffrendo molto la mancanza di luce dei lunghi inverni danesi. Forse ho una visione un po’ idilliaca dell’Italia e del Trentino dovuta alla lunga assenza e mi chiedo se sia possibile un ritorno a breve.

Cosa vuol dire secondo te vivere all’estero da un punto di vista sociale? Ti senti straniera oppure ti sei ben integrata nella società in cui vivi?

Dal punto di vista sociale anche dopo molti anni, non mi considero assolutamente integrata. Posso contare gli amici danesi sulle dita della mano. Abbiamo più contatti con la comunità internazionale.

Sicuramente la cultura danese può considerarsi più “chiusa”, ma allo stesso tempo probabilmente anche da parte nostra non ci siamo impegnati abbastanza: i primi anni da studentessa non ero molto motivata ad imparare la lingua locale perché i corsi erano in inglese, i miei compagni per lo più internazionali e non sapevo quanto mi sarei fermata. Ho comunque frequentato i corsi di lingua offerti ma non la usavo fuori perché l’inglese basta per sopravvivere.

Anche il mio primo lavoro era in un ambiente internazionale, quindi è stata la prima maternità che mi ha permesso di migliorare il danese grazie al gruppo mamme e così ho trovato il secondo lavoro più facilmente. Mio marito invece negli ultimi paio d’anni ha sempre lavorato in inglese in ambienti internazionali. Essendo che nessuno di noi è danese e non abbiamo per così dire nulla che ci lega a questa società, è più difficile incontrare locali. Questo è peggiorato ancora di più con il Covid. Quindi ultimamente iniziamo a notare delle difficoltà dovute al fatto che nostra figlia si sta “danesizzando” mentre noi rimaniamo sempre gli stranieri. Al momento stiamo pianificando un possibile rientro in Italia o Spagna ma al momento è tutto così imprevedibile.

Vuoi lasciare un messaggio ai trentini?

Vorrei mandare un saluto ai trentini e alla Community di MondoTrentino con la speranza di poter tornare tutti a godere di una vita più “normale” e viaggiare.

Le precedenti storie

LA STORIA/1 Jessica e Nicola, da Londra all'Argentina

LA STORIA/2 Dal Trentino alla Russia

LA STORIA/3 Dalla Cina alla Svezia, con il Trentino nel cuore

LA STORIA/4 Da Rovereto alle Canarie: "Felice"

LA STORIA/5 Il successo in Svizzera

comments powered by Disqus