Salvini perde di nuovo la causa contro il consigliere Pd di Rovereto che lo definì «delinquente»
Legittima critica politica per Paolo Mirandola, respinta in Appello anche la richiesta di danni dell’ex ministro che voleva 50 mila euro di risarcimento
ROVERETO. L'ex ministro dell'Interno e leader nazionale della Lega Matteo Salvini ha perso la sua battaglia legale contro Paolo Mirandola, avvocato ed ex consigliere comunale del Pd. La giudice Izzo del tribunale di Rovereto giovedì mattina ha respinto l'appello che Salvini aveva presentato contro la sentenza del giudice di pace di un anno fa, nella quale si sosteneva come le presunte offese ricevute da Salvini da parte di Mirandola fossero in realtà niente altro che l'esercizio del diritto di critica costituzionalmente garantito.
La giudice Izzo, facendo proprie le tesi della sentenza di primo grado, ha respinto anche la richiesta di 50mila euro che Salvini chiedeva a risarcimento.
Si chiude quindi definitivamente una vicenda nata il 3 marzo 2015 in Consiglio comunale, durante una delle ultime sedute della consiliatura Miorandi. Mirandola (che nell'iter processuale è stato difeso dai colleghi Lanzinger e Bondi) era in aula. In quei giorni la Lega a Roma aveva organizzato una manifestazione contro il governo Renzi. Sotto lo slogan «Renzi a casa», a Roma erano arrivati in tanti. La destra italiana ma non solo. Una giornata che aveva generato grandi polemiche.
Di ritorno da quella manifestazione, il consigliere comunale Viliam Angeli si era presentato in Consiglio comunale con la stessa felpa sfoggiata nella giornata da Salvini, quella con la scritta «Renzi a casa». Per Mirandola, fu la miccia.
La reazione in aula fu dura. Ma per il giudice di pace «le parole pronunciate dall'imputato - scrive nelle motivazioni della sentenza - vanno collocate nell'acceso dibattito politico che a quel tempo divideva i contrapposti partiti e occupava molti spazi sui media investendo della questione tutta l'opinione pubblica. In questo senso deve ritenersi che le espressioni usate dal consigliere di maggioranza, certamente offensive nei riguardi dell'esponente della Lega Nord, abbiano avuto un evidente connotato politico, non essendo state dirette in modo gratuito ed esclusivo alla persona di Matteo Salvini ma alla persona del leader della Lega quale capo politico promotore e sostenitore di idee non condivise e fortemente avversate collegate alle recenti manifestazioni di piazza. Infatti le espressioni forti e suggestive utilizzate dall'imputato non hanno riguardato la sfera privata dell'offeso, ma la sfera pubblica. Ciò è chiaramente desumibile dal tema di discussione e dalle stesse frasi pronunciate: "Il collega Angeli ha indossato la maglietta Renzi a casa. Io su questa cravatta, non si vede, ho scritto Salvini in galera. Salvini, un mascalzone, un delinquente abituale per tendenza, inserito naturalmente in un discorso politico, ha radunato il peggio del Paese, i fascisti, Casa Pound, le associazioni che son venute dalla Germania, dalla Grecia, da altri Paesi, le più destre possibili, le più pericolose possibili"».
Il magistrato ricorda quindi che «il consigliere Mirandola etichetta il leader della Lega come un "mascalzone, un delinquente abituale per tendenza" ma aggiunge l'inciso "inserito naturalmente in un discorso politico"». Di qui, secondo il giudice, l'esimente: «Appare pertanto evidente che la critica si pone non sul piano prettamente personale ma sul piano politico. Quello che viene criticato all'esponente dell'opposizione è il fatto di aver radunato non solo i militanti della Lega ma anche gruppi neofascisti e altre associazioni estremiste di destra provenienti da altri Paesi europei. Ne consegue che la questione trattata, essendo di interesse pubblico, può escludere la rilevanza penale dell'offesa in quanto il fatto contestato al destinatario dell'invettiva acquista rilevanza pubblica e si basa su un nucleo fattuale che ha connotati sufficienti per potere trarre un giudizio di valore».