Rivoluzione per il Festival dell’Economia, Dellai critico: “Disperso un patrimonio”
L’ex presidente della giunta: “La Provincia ha tutta la facoltà di decidere di cambiare e fare altre scelte. Ricordo, però, che il Festival fin dall'inizio nacque come un patto organizzativo tra Provincia, Comune e Università. Non mi risulta che la decisione di cambiare sia stata concordata con questi altri due attori istituzionali”
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TRENTO. Lorenzo Dellai, presidente del Trentino per quasi quattordici anni, quando parla del Festival dell'Economia di Trento, creatura che può considerare "sua", nata nel 2006, non riesce a non usare i verbi al passato o all'imperfetto.
«Sì, perché quella che verrà sarà un'altra cosa. Non dico che non sarà utile o sarà necessariamente brutta. Ma prendiamo atto che un patrimonio di sedici anni va a disperdersi, se la Provincia autonoma di Trento manterrà il suo proposito di cambiare» affidando al Sole 24 ore l'organizzazione.
L'iniziativa, l'intuizione del Festival dell'economia di Trento in che contesto nacque? Quale fu la scintilla che diede avvio a un'esperienza che - in queste sedici edizioni - è andata al di là delle più rosee aspettative?
«Nacque in un periodo in cui avevamo capito una cosa fondamentale e utile: che il terreno dell'economia cominciava ad essere un tutt'uno con ciò che accadeva nel mondo dal punto di vista sociale. I processi che passavano dall'economia erano trasformazioni sociali, culturali, ambientali. L'economia cominciava ad uscire dal campo stretto degli economisti, dei meeting associativi, abbracciando l'interesse di tutti i cittadini. Non volevamo un nuovo freddo meeting per esperti, come ce ne sono tanti in Italia e in Europa, ma un luogo di ragionamenti a tutto tondo. Si avvertiva che certi modelli di sviluppo entravano in crisi, che andavano coinvolti i giovani, l'opinione pubblica».
Chi lo volle, il Festival. E perché Trento?
«Fu il frutto di una comune volontà tra Provincia, Comune e Università. Prima, nella fase ideativa, con il rettore Egidi e poi, per la fase di avvio, con il rettore Bassi. Un ruolo importante lo ebbe il mio assessore provinciale all'innovazione, Gianluca Salvatori. Trovammo subito pieno appoggio dal presidente dell'Università, Cipolletta. Tramite loro intercettammo l'interesse non di una categoria economica, ma di un editore, di un gruppo editoriale, Laterza. Una cosa piuttosto unica. Con Peppe Laterza fummo immediatamente in piena sintonia. Tito Boeri entrò subito nel team e da subito si rivelò una figura straordinaria. Nacque così il Festival, non un ennesimo meeting di studi economici. Trento si prestava: per le dimensioni ideali della città. Per la sua storia di investimenti in cultura, in innovazione. Un laboratorio. E nacque questa realtà in cui sentivi parlare Ralf Dahrendorf (noto sociologo e politologo tedesco naturalizzato britannico, ndr) e dopo poco lo vedevi mangiare una pizza in città».
Dopo 16 anni ci può stare un restyling, un aggiornamento della formula, un cambio nell'organizzazione come quello voluto dalla giunta Fugatti con l'affidamento al gruppo Sole 24 ore?
«Il Festival ha sempre saputo rinnovarsi da solo, di anno in anno. A Trento ha trovato non solo radici profonde, ma un'anima. È stato gestito da figure straordinarie, non solo competenti, ma con forti reti internazionali. Non solo per i 50 premi Nobel che sono arrivati qui. Le edizioni non sono mai state uguali. Hanno intercettato i temi giusti. Sono nati eventi paralleli; il festival è stato presente anche in altre città».
Si torna spesso sulla presunta distanza della politica di centrodestra dal Festival arancione. Fin dai tempi dei governi Berlusconi, con la difficoltà di far intervenire a Trento - non si sa per le resistenze di quale delle due parti in causa - gli esponenti di quegli esecutivi.
«Il Festival ha sempre avuto un forte messaggio di indipendenza e autonomia di giudizio. Non è mai stato allineato, né politicamente né in termini di teorie economiche, né, tantomeno, di potentati economico-finanziari. Ricordo bene gli sforzi, anche personali, per sollecitare i membri dei governi di centrodestra a intervenire a Trento. In molti casi con forti pressioni. Ci siamo in parte riusciti. Il pluralismo è sempre stato garantito. Spesso ci sono state letture e approcci alternativi, anche borderline. E il governo è sempre stato il governo, ovvero il rappresentante della Repubblica, per noi».
La Provincia ora sembra lasciare la patata bollente in mano a nuovi e vecchi organizzatori. Pare dire a Sole 24 ore e Laterza: «Se riuscite ad andare d'accordo, fatelo pure in due, il Festival».
«No, non si fa così. La Provincia ha tutta la facoltà di decidere di cambiare e fare altre scelte. Ricordo, però, che il Festival fin dall'inizio nacque come un patto organizzativo tra Provincia, Comune e Università. Non mi risulta che la decisione di cambiare sia stata concordata con questi altri due attori istituzionali. Ecco perché questa scelta assume quasi la natura di un piccolo sgarbo».
Dispiaciuto, quindi, che si chiuda un'epoca, tutto sommato? "Quel" Festival si ferma qui anche se nascerà qualcos'altro.
«Lo dico senza polemica ma con rammarico: il Festival non è un'operazione di marketing. Il Festival dell'economia non è un concerto di Vasco Rossi. Qual è la nuova filosofia che si vuole seguire? Tra tante cose da cambiare, mi pare proprio assurdo farlo con le cose che funzionano».