Contagiata dall’epatite C in ospedale, risarcita dopo oltre 40 anni (e tre processi infiniti)
L’odissea di una donna trentina che chiedeva giustizia: fra cambi di normativa e lo Stato che liquidava solo la metà del dovuto (80 mila euro)
TRENTO. Per ottenere un completo indennizzo dopo essere stata contagiata dal virus dell'epatite C in ospedale, una donna di Trento ha dovuto attendere oltre 40 anni. Era infatti il 1979 quando la protagonista di questa infinita vicenda - sanitaria ma anche giudiziaria - contrasse la malattia. Solo nel 2021 il caso si è chiuso in via definitiva con il pagamento da parte del commissario ad acta nominato dal Tar.
Come è possibile che siano stati necessari quasi 42 anni per ottenere l'intera somma? Nel 1992, con l'entrata in vigore della legge 210, lo Stato italiano ha riconosciuto ai pazienti contagiati in ospedale, in seguito ad emotrasfusioni infette da virus Hcv, il diritto a ricevere un indennizzo (che è cosa diversa dal risarcimento). Solo a partire dal 1992 ai migliaia di contagiati da trasfusioni infette è stata data la possibilità di chiedere l'indennizzo.
Ottenere il beneficio, però, non è stato sempre facile. Il caso della donna trentina lo dimostra: questa infatti ha dovuto affrontare prima tre gradi di giudizio davanti alla giustizia ordinaria per ottenere il diritto ad essere indennizzata. Poi ha promosso un giudizio di ottemperanza al Tar per costringere il Ministero della salute a pagare quanto ancora dovuto; cioè 42.528 euro su un totale di 81.060 euro dovuti.
Il primo scoglio per la donna, sul fronte civile assistita dall'avvocato Paolo Pontrelli, era stato dimostrare che il contagio da virus Hcv era avvenuto in ospedale e non altrove.
Sono serviti tre processi in Tribunale, Corte d'Appello e Cassazione per ottenere il diritto a ricevere l'indennizzo. Ma il passaggio in giudicato della sentenza non significa disporre del denaro. Il Ministero della salute, infatti, ha liquidato solo circa la metà della somma dovuta. Inutili i solleciti: la situazione non si sbloccava.
Così è stato necessario aprire un nuovo fronte davanti alla giustizia amministrativa. Assistita dagli avocati David Micheli e Stefania Dusini la donna ha promosso un giudizio di ottemperanza in cui chiedeva, ad ormai 40 anni dai fatti, che venisse «dichiarato l'obbligo dell'Amministrazione intimata di dare completa ed esaustiva esecuzione alle sentenze; che sia nominato un commissario ad acta che intervenga in sostituzione del Ministero, in ipotesi di perdurante inottemperanza; che sia condannato il Ministero convenuto al pagamento di un'ulteriore somma di denaro a titolo di penalità di mora».
Il ricorso non ha smosso il Ministero della Salute che continuava a non pagare. È stato il commissario ad acta chiesto dai legali della donna a provvedere al pagamento di quanto ancora dovuto (42mila euro). E così, nella «camera di consiglio - si legge in sentenza - il difensore intervenuto, avvocato David Micheli, ha espressamente dato atto che, tutte le richieste economiche sono state integralmente soddisfatte dal Ministero in sede di ottemperanza». Caso chiuso, finalmente.