Un peluche da stringere, le toccanti storie dei bimbi arrivati in Trentino dall’Ucraina invasa dai russi
I primi profughi sono arrivati domenica sera, dopo un viaggio di due giorni. Hanno il cuore spezzato: “Grazie dell’accoglienza, ma pensare che il nostro Paese è sotto le bombe ci fare stare male”
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TRENTO. Un cagnolino di peluche. Ci dicono che si chiama - italianizzando il nome - Teresa. A stringerlo forte è una bimba di 6 anni, che con l'altra mano tiene vicino il fratellino più piccolo. Entrambi hanno il loro zainetto: di "Cars", con l'immagine di Saetta McQueen, quello di lui. Rosa a scacchi, con la scritta "Principessa", quello di lei. Le passioni dei bambini sono le stesse ovunque, viene da pensare guardandoli.
I due fratelli sono scesi domenica sera dal pullman dopo 45 ore di viaggio. Sono con la loro mamma e guardano tra il timido e lo spaesato le persone che li accolgono e li salutano, in una città che non conoscono e della quale probabilmente non avevano mai sentito parlare. Dopo i saluti affettuosi di questi estranei vanno all'ostello: salgono in camera e Teresa viene messa sul cuscino del nuovo letto.
Poi arriva la pastasciutta: «Buonissima, buonissima», dicono ritrovando il sorriso. E chiedono alla mamma se c'è un frigorifero, perché quegli estranei gli hanno dato un sacco di cose buone da bere e da mangiare, dal latte alla cioccolata. I bambini sono davvero tutti uguali. Questi due, però, il lunedì non andranno a scuola: i loro zaini di Cars e di Principessa resteranno in un ostello a 1.572 chilometri di distanza dalla loro classe. Non vedranno il loro papà andare a lavoro. Hanno la "colpa" di essere due bambini ucraini, sono dovuti fuggire in fretta e furia e stare su un autobus per quasi due giorni, ma non per andare in vacanza. E non sanno cosa faranno domani o tra una settimana.
Domenica sera alle 19 a fianco del bar Funivia è arrivato il primo pullman dall'Ucraina. A bordo 6 mamme e 10 bambini che saranno ospitati a Trento: tre mamme e sette bambini all'ostello cittadino, gli altri da privati, parenti o amici. Lungo l'Adige in attesa c'è anche Luba: badante, da vent'anni a Trento, sta aspettando due figlie e quattro nipoti. Piange. «Sono felice di riabbracciare le mie figlie e le mie nipoti, che qui saranno al sicuro. Ma ho il cuore spezzato per il mio Paese sotto le bombe. E sono spaventata per i miei parenti: i papà sono rimasti in Ucraina. Sono lì con i kalashnikov, pronti a difendersi dall'invasione russa».
Si asciuga le lacrime e poi ringrazia. «Voglio ringraziare il popolo italiano e quello trentino. State facendo tanto per noi». I profughi scendono. Occhi lucidi. «Dyakuyu, dyakuyu», «Grazie, grazie», ripetono. Sono al sicuro, ma sono stanchi e preoccupati per i loro affetti lontani e per il loro Paese bombardato. «Questa è casa vostra, siete i benvenuti», dice il sindaco Franco Ianeselli, presente con il presidente del consiglio comunale Paolo Piccoli e l'assessora Chiara Maule. In veste più umana che istituzionale: dopo l'arrivo dei profughi Piccoli porta una valigia sul soprapasso della ferrovia fino all'ostello. E lì è Maule a raccogliere i passaporti, a fare la "receptionist", verificando che i pasti caldi fatti alla Casa della Giovane siano arrivati, e a pensare a contattare l'Apss per i tamponi.
Ianeselli saluta mamme e bambini, chiede a Angela Kotyk se serve qualcosa, se è tutto ok. Della Provincia manco l'ombra. Ma, almeno ieri sera, non è tempo di polemiche. È tempo di braccia aperte e occhi lucidi. È tempo di abbracci e di sospiri. Con un pizzico di rabbia: nel 2022 ci si trova la domenica sera ad aspettare dei profughi di guerra. Dei bimbi che scappano con il loro peluche sotto braccio. Delle mamme con i mariti lontani, che ieri sera erano con il kalashnikov in mano. Incredibile.