Il Trentino si spegne: sempre più vecchi, rischio calo demografico nelle valli, e nel 2050 la popolazione attiva sarà solo la metà
I dati dell’Isdat e le proiezioni: la terra più «vecchia» sono gli Altipiani Cimbri, quella che rischia lo spopolamento è il Primiero. Se non si inverte il trend, a forte rischio produzione e servizi
TRENTO. Il Trentino è come un cerino. Una terra che rischia di spegnersi, un po' alla volta, un giorno alla volta. Basti un dato per tutti: a gennaio 2021, dopo un anno in cui il Covid si è portato via decisamente prima del tempo qualcosa come 1.584 persone di cui 997 nel solo 2020, pressoché tutte anziane, l'età media della popolazione è risultata comunque in crescita.
Questo emerge dall'analisi per età e genere effettuata dall'Ispat. Che per carità, non dice nulla di davvero nuovo e non fotografa in Trentino una situazione peggiore rispetto a quella del resto d'Italia . Ma dà il senso dell'ineluttabilità di processi che se non si invertono o non si governano, rischiano di schiacciarci. Ed è sempre l'Ispat a dire quanto velocemente potranno farlo: nel 2050 - per prendere un anno tondo, tra i tanti che le proiezioni del servizio della Provincia permette di valutare - in Trentino saremo 559.565. In lieve crescita. Solo che, di questi, solo 310.468 sarà in età attiva.
Il che crea evidentemente problemi di sostenibilità dei servizi, per come li conosciamo, ma anche di sostenibilità del mercato del lavoro. Perché se adesso tanti settori faticano a trovare manodopera, servirà fare qualche ragionamento di prospettiva, posto che, se il trend in corso non viene modificato i qualche modo, la popolazione è destinata ad aumentare, ma quella attiva a diminuire.
La fotografia attuale. Partendo dal dato di inizio 2021, che è poi quello analizzato da Ispat, emerge un aspetto: nonostante la pandemia - 997 decessi, +24,1% sul 2019 - che si è abbattuta con particolare violenza sulla popolazione anziana, non è stato invertito il trend che vede un inesorabile e continuo invecchiamento della popolazione.
L'indice di vecchiaia è salito seppur di poco, ed ora è 161,8: significa che ogni 100 giovani ci sono 162 anziani. Che a livello nazionale vada peggio (l'indice è di 182,6 in Italia, addirittura 185,7 nel Nordest) consola solo in parte. Un dato che si riflette sull'età media, ovviamente in crescita: 45 anni, 43,6 per gli uomini e 46,3 per le donne, che continuano a vivere più a lungo.
Il risultato è un paradosso: nonostante nascano più uomini che donne (106 a 100), oltre gli 80 anni per ogni uomo ci sono due donne. Ma l'età media non è la medesima sull'intero territorio provinciale: i più giovani sono in Comunità Rotaliana, Königsberg (43,4 anni), Alta Valsugana e Bersntol (44,1) e Comun General de Fascia (44,3). L'età media più avanzata è nella Magnifica comunità degli altipiani cimbri (48,2).
Ma quanti sono in età lavorativa (15-64)? Ad averne di più è la val di Fassa (67%), ad averne meno le Giudicarie (62,2%).
Le proiezioni. Ispat permette di fare proiezioni sul futuro. E al di là delle curiosità - gli ultracentenari nel 2050 saranno 2.475, nel 2070 ben 7.167 - c'è di che preoccuparsi. La popolazione totale è sì destinata a crescere, seppur di poco (559.565) ma non in modo uniforme: molte comunità di valle, se non cambiano i trend , sono destinate a veder calare la popolazione: su tutti il Primiero (che passerebbe dai 9425 previsti nel 2025 ai 9054 abitanti nel 2050), le Giudicarie (da 36.705 a 36.218). Secondo le proiezioni al 2050 caleranno in modo limitato Val di Sole, Val di Non e crescerà la pianura: la Vallagarina arriverà a 95.897 abitanti, l'Alto Garda a 53.634, la Valle dell'Adige a 122.378.
Delle valli sembra possano crescere l'Alta Valsugana (60.575), la Valle dei Laghi (12.030) ma anche la Val di Fassa (10.339).
Il problema è che gli abitanti, ovunque, saranno sempre più vecchi. L'indice di vecchiaia nel 2050 sarà di 235,2. La popolazione attiva calerà rispetto ad oggi, fermandosi a 310.468, quella inattiva schizzerà a 249.097.Sostenibilità di welfare e mercato del lavoro. È questo il tema di fondo. I servizi che abbiamo oggi sono tarati su una popolazione con altri equilibri demografici. E non è solo l'aspetto più evidente, che se viviamo di più avremo più bisogno di assistenza a maggior costo. È anche questione di forza lavoro.
A livello italiano l'impatto demografico sull'occupazione è stato valutato dall'Osservatorio sui conti pubblici guidato da Carlo Cottarelli. E la risposta è chiara: già ora siamo in affanno, perché è iniziata la fase di pensionamento dei cosiddetti baby boomer. La forza lavoro è stata mantenuta stabile fino agli anni Duemila con l'immigrazione, ma poi è calata. Già ora le aziende non trovano lavoratori per tanti motivi. Ma anche la demografia gioca un ruolo. E visto in prospettiva, lo giocherà sempre di più, se i trend ormai avviati non vengono modificati.