Azienda distrutta dall'incendio a Carbonare, ancora fumo dalla struttura, vigili del fuoco in sopralluogo
La disperazione dei titolari della BioHabitat, che produceva case in legno: «I macchinari sono distrutti, ci vorrà almeno un milione solo per ricomprarli, anni di lavoro andati in fumo»
FOLGARIA. Il devastante incendio che ha incenerito il capannone che ospitava la produzione e gli uffici della BioHabitat di Carbonare, azienda leader nella nell'assemblaggio e costruzione di case in legno nella notte fra mercoledì e giovedì è stato spento, ma all’interno le macerie continuano a fumare, e per questo oggi sono nuovamente intervenuti i vigili del fuoco per una verifica. Ma ai titolari non resta che lo sconforto.
Il fumo che esce dai locali, venerdì mattina
L'allarme era arrivato alla centrale unica e diramato ai vigili del fuoco alle 4.30 della notte tra mercoledì e giovedì, ma quando i primi pompieri sono arrivati sul posto il furioso rogo aveva già coinvolto in toto l'edificio posto ad est, una costruzione di oltre 500 metri quadrati che al piano terra ospitava i macchinari, mentre al primo piano gli uffici, ed un appartamento.
Per fortuna non c'erano persone all'interno e non ci sono stati feriti, ma il danno è enorme: «Penso non basterà un milione di euro per acquistare nuovamente i macchinari», spiegava ieri Luca Cemin, il titolare dell'azienda fondata dal padre Alessandro.
Le fiamme si sono propagate velocemente, molto probabilmente il rogo - del quale non è ancora stato possibile capire l'origine - era iniziato da ore. La prima ad accorgersene sarebbe stata una badante ucraina che accudisce un anziano in una delle case vicine alla zona artigianale di Carbonare. Poco più tardi però se ne sono accorti in molti: l'intensità era tale che il bagliore si notava fin dalle frazioni lontane.
I primi ad arrivare, a pochi minuti dall'allarme, sono stati i vigili del fuoco dei corpi dell'altopiano: Folgaria, Lavarone, Luserna.In supporto dei volontari coordinati dal comandante di Folgaria Andrea Ciech sono arrivati i colleghi di Levico, Caldonazzo, Vigolo Vattaro e Pergine.
Li hanno raggiunti anche i vigili del fuoco permanenti di Trento e i volontari di Rovereto e Mori, con gli uomini pronti a dare una mano ma anche con i mezzi più adatti per portare avanti il lungo e difficile lavoro di spegnimento che ha permesso di limitare i danni al magazzino, invaso comunque dal fumo.
Sessanta pompieri si sono alternati durante tutto il giorno ieri e un paio sono rimasti a vigilare il capannone posto sotto sequestro dai carabinieri anche durante la notte, mentre i pannelli dentro al capannone continuavano a bruciare. «Non è sicuro entrare per smassarli e da fuori con l'acqua non riusciamo a spegnerli» spiegava ieri sera il comandane Ciech. «Dobbiamo attendere che brucino perché si esaurisca il rogo».
Poi i militari dell'Arma ed i funzionari dei vigili del fuoco cercheranno qualche elemento che aiuti a formulare un'ipotesi sulle cause del rogo, difficili da capire.«Al piano terreno ospitavamo i macchinari, costosissimi, uno dei quali era l'unico in Italia e serviva per fare delle pareti in legno con una lavorazione speciale», racconta il fondatore Alessandro Cemin, che aveva appena festeggiato i suoi 83 anni. I titolari sono originari del Primiero, ma da anni abitano in Veneto: Alessandro ad Arsiero, mentre Luca a Schio. «Anni di sacrifici e di battaglie che se ne vanno in cenere. Sarà dura e difficile riprendere» commentava ieri l'anziano titolare con le lacrime agli occhi.