Uva e mele, al Trentino servirebbero 20 mila raccoglitori, ma gli stranieri non ci sono e gli italiani rifiutano i 9 euro lordi all’ora
Situazione delicata, perché i lavoratori dell’Est preferiscono andare nei cantieri in Germania dove li pagano di più; «servirebbe un permesso per amici e parenti» dice la Cia. E Barbacovi propone «vengano quelli che prendono i reddito di cittadinanza»
TRENTO. Con le prime chiamate allo "stacco" delle varietà diverse dallo Chardonnay "base spumante" inizia ad entrare nel vivo la vendemmia 2022. Un'annata che si annuncia molto buona sul versante della qualità dell'uva e della gradazione zuccherina - del resto almeno un effetto positivo la siccità estiva lo doveva pur regalare -, ma che mette ancora una volta in risalto la difficoltà dei coltivatori trentini nel reperire manodopera da utilizzare nei campi.
Nonostante il rinnovo nazionale del contratto degli operai agricoli (9 euro lordi all'ora), l'offerta resta bassa.
Gianluca Barbacovi, presidente di Coldiretti, non usa mezzi termini: «La situazione è molto preoccupante perché si fa sempre più fatica a reperire persone disposte a venire in campagna a lavorare. E questo vale per gli italiani, come per i cittadini europei ed extracomunitari».
Quando il Decreto Flussi in un primo momento aveva pesantemente sforbiciato i permessi per i lavoratori extra Ue (1.400 sugli 1.800 richiesti), Barbacovi aveva lanciato una proposta a livello nazionale: permettere ai percettori del reddito di cittadinanza di lavorare a chiamata nei campi senza penalizzazioni dal punto di vista dell'imposizione fiscale. «Così - spiega - si permetterebbe a circa 4 milioni di persone di lavorare stagionalmente in agricoltura, senza perdere il diritto al sussidio e anzi incrementando per un certo periodo dell'anno le proprie entrate. Una soluzione che avrebbe il duplice obbiettivo di risolvere il problema della carenza di manodopera, ma che sarebbe anche un primo reinserimento lavorativo per persone svantaggiate».
La fine precoce della legislatura ha bloccato la discussione sul merito ed ora le aziende agricole trentine si trovano in difficoltà. «Vanno messi in campo più strumenti - continua -. Noi ci abbiamo provato con il protocollo con l'Agenzia del Lavoro e l'Ente bilaterale per reperire manodopera autoctona: qualcosa è servito, ma serve molto di più per saturare il bisogno di ventimila lavoratori stagionali e più che servono all'agricoltura in Trentino».
Barbacovi rivela che i flussi dall'Est Europa negli ultimi anni si sono ridotti non soltanto a causa del Covid. «Abbiamo scoperto che parecchi degli stagionali che a suo tempo arrivavano in Trentino da Romania, Slovacchia e Polonia ora vanno nei cantieri edili di Germania e Belgio con contratti più lunghi, anche da 5-6 mesi».
Paolo Calovi, presidente di Cia (Confederazione italiana agricoltori), conferma che il problema resta sempre irrisolto. «Considerata la situazione bisognerebbe trovare un sistema per regolarizzare gli amici che sabato e domenica verrebbero in campagna a dare una mano ma che con la cancellazione dello strumento dei voucher sono impossibilitati a farlo».«In pratica - continua Calovi - adesso possiamo contare solo su studenti, pochi, e stranieri, romeni slovacchi, senegalesi. Quelli dell'Est Europa, però, arrivano in numeri molto più ridotti: si tratta per lo più di giovani che vengono per pagarsi gli studi in patria ma che hanno esigenze diverse, più alte, rispetto ai loro padri qualche anno fa».
Meno pessimista, invece, Diego Coller, presidente di Confagricoltura. «Tutto sommato credo che la situazione sia migliore rispetto all'anno scorso quando si sentivano ancora le limitazioni all'ingresso per via del Covid. Nel nostro piccolo ci siamo dati da fare attivando una piattaforma insieme a Bolzano che ci dà la possibilità di avere scambio di personale sulle zone di confine, ma anche di fare in modo che ci siano contatti tra i datori di lavoro, in modo che a chi viene da fuori siano assicurati periodi di lavoro più lunghi: prima con la vendemmia, poi con la raccolta delle mele».