La Lega e FdI non vogliono gli aiuti alle mamme che lavorano in ditte private: no all'equiparazione con il pubblico per la maternità
Bocciata la proposta di legge di Ugo Rossi, che chiedeva un sostegno per una «equa parità». Fra difesa degli interessi delle imprese e «famiglie naturali», il muro del centrodestra in Consiglio provinciale
TRENTO. Ancora ammantati dalla bufera politica nazionale delle elezioni, da due giorni i consiglieri provinciali discutono in aula su un problema serio ed importante. Ma fra maggioranza ed opposizione è un dialogo fra sordi. Eppure, si tratterebbe di sostenere le mamme ed i papà che lavorano nel privato, affinché avessero le stesse agevolazioni e trattamento di quei genitori che lavorano nel pubblico. Ma la giunta leghista non ci sente. Per il semplice motivo che la proposta di disegno di legge è firmata da Ugo Rossi.
Così si va verso la bocciatura in giunta provinciale, per il disegno di legge sull’equiparazione del trattamento di maternità nel settore privato a quello pubblico, che attualmente prevede maggiori benefici per le lavoratrici «provinciali» rispetto alle altre. I primi due articoli della proposta di legge dell’ex presidente della Giunta e esponente del gruppo misto Ugo Rossi hanno infatti incontrato la sonora opposizione della maggioranza di centrodestra durante il voto di stamattina 28 settembre (19 no, 12 sì).
Ieri, nel dibattito, si sono viste bene le posizioni. Un tema, ha ricordato Rossi, «ritenuto importante da tutti, almeno a parole», ma la cui bocciatura rappresenta «un’occasione persa per rendere questa autonomia un po’ innovativa».
Rossi ha ricordato che questa richiesta è una di quelle contenute nelle osservazioni presentate dal Coordinamento Imprenditori del Trentino. «Avete avuto due anni di tempo per rispondere agli imprenditori – ha tuonato Rossi – o per fare una norma della maggioranza. Ma non lo avete fatto, perché è chiaro che non ve ne importa niente».
A Rossi ha risposto la capogruppo della Lega Mara Dalzocchio, secondo cui «in commissione tutti gli auditi hanno detto che si creerebbero discriminazioni tra lavoratrici all’interno del settore privato». Dalzocchio ha poi affermato che «vanno ascoltate le donne che vogliono, prima di tutto, orari flessibili e stipendi uguali agli uomini». Arrivando a dire che «non si possono obbligare le aziende». Al che Rossi è sbottato: «Non c’è scritto che sono obbligate, c’è scritto che vengono sostenute e incoraggiate quelle che vogliono».
Ma dalla Lega, è apparso chiaro, si è alzato il muro. Contrarietà è stata espressa anche dal leghista Roberto Paccher, che ha affermato che «Rossi poteva presentare il ddl nella scorsa legislatura, quando era presidente» e che «un prolungamento della maternità, estendendola anche alla paternità, per molte piccole aziende sarebbe un grave problema e quindi la questione economica non è l’unica».
A condimento, ha aumentato la dose Claudio Cia di Fratelli d’Italia, che ha attaccato la mancata creazione di «una cultura favorevole alla maternità». Recitando che «una famiglia è una mamma e un papà».
Alla fine, niente da fare. Favorevoli alla proposta solo gli altri gruppi, tra cui Onda Civica, Futura, Europa Verde, Patt e Pd.
«Se l’obiettivo, condiviso da tutti, è quello di incrementare la natalità anche le imprese devono fare qualche sacrificio - ha affermato Filippo Degasperi di Onda - invece, si è arrivati a una deregulation totale del mercato senza introdurre un minimo di garanzie e sicurezza e, di fronte alla deriva dei diritti dei lavoratori, ci si chiede perché non si fanno figli».
A favore della proposta anche Paolo Zanella (Futura), «anche perché i dati dicono che dove le donne lavorano di più si fanno anche più figli» ha dichiarato.
Lucia Coppola (Europa Verde) s’è detta in sintonia col lo spirito del ddl «che sottolinea le difficoltà della conciliazione lavoro – famiglia», mentre Michele Dallapiccola (Patt) ha affermato che «l’Italia fa fatica a tenere il passo sul piano demografico con i principali stati europei e per questo tutte le iniziative per ridurre questo gap rappresentano un compito primario della politica», posizione condivisa da Paola Demagri secondo cui «il ddl crea opportunità ma non impone nulla a nessuno».
L’equiparazione della maternità resta un tema centrale anche anche secondo Sara Ferrari e Alessandro Olivi (Pd), che «favorirebbe la competitività del Trentino».
Ma niente da fare: le mamme ed i papà che lavorano in Provincia hanno un trattamento più favorevole di quelli che lavorano nel privato. E rimarrà così, per volere della maggioranza di centrodestra, «per non danneggiare le imprese». «Salvo poi piangere quando leggiamo i dati demografici – ha attaccato Dallapiccola – che vedono la popolazione trentina calare ed invecchiare in modo drammatico».
Ma è evidente che ci sono due filosofie di vita diverse. Ed una ha (stra) vinto le ultime elezioni politiche.