L’allarme sulla sanità trentina: «Liste d’attesa eterne, i più a rischio sono gli anziani»
I sindacati denunciano i disservizi e chiedono sul tema un incontro urgente all'assessora Stefania Segnana. Il presidente della consulta della salute, Renzo Dori: «La società invecchia rapidamente, bisogna cambiare sistema
LE CONSEGUENZE I tempi d'attesa per le patologie oftalmologiche
TRENTO. Medici che non si trovano perché non ci sono o perché vanno via, liste d'attesa che si allungano, perché la pandemia ha messo in pausa le prestazioni ma non le malattie, condizioni di salute generali delle popolazione che peggiorano anziché migliorare, tra long Covid e cronicità in aumento, il sistema della sanità trentina è in sofferenza. Ma a pagarne il prezzo rischiano di essere i fragili, a partire dagli anziani.
Questo denunciano i sindacati uniti che, ora, chiedono sul tema un incontro urgente all'assessora Stefania Segnana. E mentre loro denunciano i disservizi, il presidente della consulta della salute avverte: si rischia di peggiorare. Perché il problema non è il Covid. Il problema, osserva Renzo Dori, è che la società sta invecchiando, il sistema attualmente, per come è pensato, è destinato a non reggere. Ma non si intravede all'orizzonte un sistema nuovo, fatto di prevenzione più che di cura, di assistenza domiciliare e di prossimità più che di ricoveri ospedalieri.
«È un problema che ha tutta Italia, ma da noi è peggio che altrove, perché c'è un tasso d'invecchiamento più alto». Insomma, tutto fa pensare che ci attendono tempi difficili. E a farne le spese rischiano di essere i più fragili.I sindacati partono dalle liste d'attesa: «Sono i numeri a dare la dimensione colossale del fenomeno: rispetto al 2019 nel corso del 2020 abbiamo avuto a livello nazionale 64.504.000 prestazioni di specialistica ambulatoriale in meno (-28,2%) e nel 2021 sono state 33.919.000 in meno (-14,9%) per un totale di 98.423.000 prestazioni in meno in un biennio- osservano i segretari generali dei sindacati pensionati Claudio Luchini (Uilp), Ruggero Purin (Spi) e Tamara Lambiase (Fnp Cisl) - I ricoveri ospedalieri sono stati nel 2020 1.774.817 in meno rispetto al 2019 (-21%). E il Trentino la situazione non è certo migliore».
Il problema, evidenziano, è pure più chiaro guardando i dati Istat, sempre su base nazionale, sulla rinuncia a visite specialistiche o esami per motivi economici o di difficoltà d'accesso: 4.845.000 nel 2021 e 5.610.000 nel 2022 (nel 2019 erano 3.162.000): il trend è in peggioramento. In sintesi, denunciano i sindacati, anche in trentino come nel resto d'Italia il Covid ha preso tutto lo spazio e il tempo del sistema, e il resto è rimasto indietro. «Sono migliaia i pazienti in Trentino che ancora oggi faticano ad ottenere il rispetto dei tempi indicati dal medico sulle prescrizioni, trovandosi a dover rinviare visite specialistiche».
Un esempio su tutti, osservano, sono le attività legate alle patologie oftalmologiche: «A livello provinciale sono state centinaia le prestazioni ambulatoriali in meno e ciò ha determinato l'allungarsi delle liste d'attesa e disagi per l'utenza. Si verificata una contrazione significativa di interventi chirurgici legati alla cataratta, e una parte degli over 80 che non sono stati operati ha subito la frattura del femore a causa dell'ipovisione e della conseguente difficoltà ad evitare gli ostacoli. Una verifica ha dato come esito un aggravamento delle patologie permanenti a causa del lockdown e della conseguente diminuzione dell'attività di prevenzione che ancora oggi on è riuscita a recuperare i numeri».
Da qui le richieste di modifica del sistema - a partire dallo spostamento di competenze sui medici di famiglia - l'appello affinché «la Provincia prenda in carico in modo definitivo questo grave problema senza negarne l'evidenza» e la richiesta di incontro urgente con l'assessora Segnana.Ma i timori dei sindacati sono i medesimi del presidente della Consulta della salute Renzo Dori. Che inserisce il problema nel più generale contesto demografico: «Al di là del Covid, che ha complicato molto le cose, il problema vero è che la società sta invecchiando in modo molto rapido e preoccupante in termini di numeri. Andiamo verso una società fortemente squilibrata e quindi si riducono le risorse. Le criticità di oggi sono destinate a peggiorare se non si cerca di cambiare il sistema, se non si ridiscute il modello. Bisogna passare dal welfare riparativo a quello comunitario, dalla cura alla prevenzione. E la politica è in affanno rispetto ad un processo che è maturato ormai da tempo e prosegue. Il problema tocca tutta Italia ma da noi è peggio, perché il tasso d'invecchiamento è più alto». Serve reinventare il sistema, insomma. Serve pensare ad una medicina di prossimità, ma soprattutto alla prevenzione, perché serve mantenere le persone sane per più tempo possibile: «Il fenomeno peggiorerà senza strumenti di controllo e interventi puntuali. Se non interveniamo ci sarà sempre più spesso un intervento del privato, ma a costi più alti. E chi non ha risorse rischia di non avere accesso alle cure. Se non si destinano risorse al settore e non si cambia il modello, si rischia di determinare diseguaglianze e nuove povertà. In questo contesto, i fragili, e gli anziani lo sono, sono più a rischio di altri».